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San Teodoro
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Tratto dall'opuscolo

Parco Marino
Tavolara Punta Coda Cavallo
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Gallura che una volta si chiamava d’Oviddè, che comincia da Budoni e risale la costa settentrionale. Una distesa di storia e microstorie, dai confini molto precisi. Le rotte marinare anche qui sono state tracciate dai pescatori ponzesi che, alla fine dell’800, si stabilirono sull’isola di Tavolara, che oggi fa parte della vasta area marina protetta di Capo Coda Cavallo che si prolunga fino alla spiaggia dell’Isuledda: sbarcavano a piedi scalzi con le ceste colme di pesce sulla testa, passavano tra i cardi con indifferenza e portavano aragoste e granceole negli stazzi delle famiglie benestanti. Ottenevano farina, agrumi, formaggio e ripartivano. Hanno lasciato fondamenti di cultura gastronomica. In casa si è cominciato così a preparare la zuppa di pesce, di capponi e scorfani, donzelle e gronchi, grossi murici e cozze, serraine, verdoni, boghe, con pomodori e peperoncino. La frittura? Ovviamente con l’olio di lentisco, che qualcuno usa ancora per friggere la Bultigghjata, ovvero gli anemoni di mare passati nella semola. L’anguilla si andava a pescare durante i temporali, con i lombrichi, mentre nelle secche marine si catturano tuttora seppie, ricci e patelle. Nei menu di oggi si ritrovano: il polpo c’è chi lo cuoce nella “sua” acqua, e lo unisce poi a patate fritte nell’olio extra vergine d’oliva. Ma torniamo agli stazzi, caratteristiche aziende a conduzione familiare che hanno segnato (prima dell’affermarsi dell’industria delle vacanze) l’economia in modo esclusivo, tra orti, pascoli, vigne, campi seminati a grano, lontano dai centri più grandi. Si coltivava di tutto, ed è una dimensione che resiste: in primavera, ad esempio, oltre ai cavoli ed alla lattuga, si
raccolgono piselli e fave che si fanno essiccare per l’inverno. Le favette crude sono preda dei bambini. Senza sbucciarle, anche qui come ad Orosei, finiscono in padella: si lessano in abbondante acqua salata i baccelli interi più teneri e, in padella, si saltano con burro, pancetta tagliata sottile, foglie d’aglio fresco, menta ed un po’ di panna. Le fave si preparano anche con s’Ozzu Casu, l’olio di formaggio, e sono davvero squisite.
Il capretto (più capre che pecore, nei dintorni) si fa con i carciofi o arrosto. E poi c’è il Figaretto, un delicatissimo antipasto, con la coratella di capretto, agnello e maialetto tagliata a listarelle sottili, soffritte (il fegato si aggiunge per ultimo) con un pesto di porri, aglio fresco, prezzemolo, peperoncino, foglioline di salvia e rosmarino selvatico. Il profumo delle erbe è un invito a percorrere i sentieri in zone aspre e selvagge alle spalle della costa. Si va in mountain bike, in fuoristrada, passando per Buttidogliu, verso il Monte Nieddu, zona di “scoddi”, spuntoni di roccia, e torrentelli che scorrono sulle “lascine”, le pietre lisce che riflettono il sole. Dalla vedetta della Guardia Forestale, lo sguardo si perde sul golfo di Orosei e Budoni, Agrustos; e l’Isuledda, poi l’ampio abitato di San Teodoro; e si distinguono La Cinta, Punta Aldia, la spiaggia de Lu Impostu, Cala Brandinchi, le isole di Molara e Molarotto, fino a Tavolara.Territorio di funghi di cisto (“Lu Mucchiu”) e di corbezzolo; macchie di tassi e ginepri, abitati da cinghiali, pernici, volpi,
donnole, lepre sarda e germani reali. Per i chi ama la selvaggina, un paradiso. Ma la sfida ulteriore è il trekking con le sue variabili turistiche. Seguire il camminamento, la “Semita”, fino alle cascate di Pittriolu con un laghetto invitante, vicino a una vecchia carrettiera per Padru, significa immergersi in una dimensione che attira sempre più esploratori e viaggiatori non convenzionali. Paesaggi di montagna, dai quali si rientra con il desiderio di cose buone.









