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Regno di Sardegna (1718-1860) :: La Storia del Regno di Sardegna dal 1718 a oggi.

Cultura Sarda > Storia Sarda
Palazzo Regio Savoia Cagliari
La Sardegna dei Savoia

Fra il 1714 e il 1718 l'isola passa dapprima sotto il controllo austriaco, poi sotto quello piemontese. Con il possesso della Sardegna i Savoia acquisiscono il titolo reale. Per tutto il corso del secolo perdura l'arte tardobarocca, a opera di architetti, scultori, pittori o singole opere che provengono dal continente italico. In architettura emerge la personalità di Giuseppe Viana, che si esprime al meglio nella spazialità dinamicamente barocca della chiesa del Carmine di Oristano. In pittura emerge quella di Giacomo Altomonte, autore dei raffinati affreschi nella sacrestia di San Michele a Cagliari. Nella statuaria lignea emerge la personalità di uno scultore locale, Giuseppe Antonio Lonis, autore di apprezzatissimi simulacri devozionali. La prima metà dell'Ottocento vede anche in Sardegna la diffusione dell'arte neoclassica, che ha il suo massimo esponente nello scultore Andrea Galassi. Egli riuscirà a imporsi anche nell'ambiente artistico torinese, lavorando per la chiesa della Gran Madre di Dio nella capitale sabauda. Mentre gli scultori intraprendono la via della produzione in serie, soprattutto dedicandosi alla statuaria funeraria, in pittura si segnala Giovanni Marghinotti, che lungo il corso del secolo si rende interprete dei principali orientamenti culturali: dagli esordi neoclassici, celebrativi del mecenatismo dei Savoia, al romanticismo, fino ad aderire alla vena folklorica, che lo porta a valorizzare, per primo nell'arte sarda, i costumi e le tradizioni popolari sarde.


Salone di rappresentanza Palazzo Regio Savoia Cagliari
Palazzo Regio Savoia Cagliari Scalone d'onore.
I Savoia in Sardegna

Con la conclusione della "guerra di successione spagnola" - aperta dalla contesa tra i pretendenti al trono dell'ultimo sovrano spagnolo della dinastia degli Asburgo Carlo II, morto nel novembre del 1700 – il 2 agosto 1718 con il patto di Londra ha termine il predominio spagnolo in Sardegna, che viene assegnata alla casa ducale dei Savoia che con essa acquista anche il titolo regio. Nonostante l'ambizione dei Savoia di estendersi nella pianura padana, la possibilità di utilizzare la Sardegna come pedina di scambio per ottenere obiettivi più vicini alle proprie mire espansionistiche orientò il governo piemontese a consolidare il possesso dell'isola e ad adottare una politica cauta nei confronti delle istituzioni esistenti. Rientrava infatti nelle clausole di cessione dalla Spagna al Piemonte l'obbligo per i Savoia di rispettare i possessi feudali degli aristocratici spagnoli e gli ordinamenti tradizionali dell'isola. E sebbene il primo contatto tra piemontesi e sardi non fu dei migliori, soprattutto per la difficoltà di comprensione di un paese e di una cultura spagnolizzati, e non di rado si concluse con l'uso della forza, il sovrano Vittorio Amedeo II, preoccupato sia delle conseguenze politiche e diplomatiche di un eventuale dissenso della feudalità sarda, sia di uno spreco di risorse in azioni inefficaci, adottò una condotta di prudenza e moderazione nel rispetto di istituzioni, leggi e consuetudini.  Il definitivo passaggio della Sardegna ai Savoia nel 1718 non segna un'interruzione delle fabbriche in corso, contrassegnate dall'adesione al linguaggio tardobarocco, destinato a perdurare sino alla fine del secolo in una serie di chiese che coniugano elementi di tradizione locale con modi del manierismo cinquecentesco e del barocco seicentesco. Dal 1720 il governo sabaudo invia in Sardegna validi ingegneri militari, dapprima per rafforzare le fortificazioni e ammodernare ponti e strade, i quali poi si interessano anche di restaurare antichi edifici e di progettarne di nuovi. Per il loro tramite la cultura isolana si italianizza aderendo ai modi tardobarocchi ligure-piemontesi. Questi vengono diffusi anche con l'importazione di statue e arredi marmorei (altari, paliotti, pulpiti, balaustre, fonti battesimali), di pregevoli manufatti d'argento e preziosi tessuti. L'allineamento alle mode degli ambienti artistici italiani si intensifica nell'Ottocento con l'opera di alcuni architetti nativi dell'isola ma formatisi a Torino, al corrente delle forme neoclassiche che andavano diffondendosi in Europa. Vengono costruite chiese la cui sintassi architettonica rivela la piena adesione al linguaggio classicista. Anche il panorama dell'edilizia civile riflette i vari orientamenti delle mode culturali del tempo, mentre le sempre incombenti necessità di difesa dei centri costieri spingono la monarchia sabauda a una politica di ripopolamento delle isole lungo la costa sudoccidentale sarda, che annovera fra i suoi risultati la pianificazione urbanistica di Calasetta e Carloforte.  Nella prima metà del '700, nonostante la decisione del governo sabaudo di seguire una linea di condotta rispettosa delle istituzioni, delle leggi e delle consuetudini sarde, le azioni adottate si discostano di fatto dalle primitive intenzioni, sia per precise scelte che per difficoltà concrete. Un esempio è la diversa considerazione, rispetto alla monarchia spagnola, dell'istituto del viceregato, passato da una autonomia di azione rispetto al centro ad una autonomia ridotta ma con maggiore potere reale, e quindi di sostanziale indipendenza, nei confronti dei ceti privilegiati isolani. D'altra parte questi sono stati privati dello strumento principale di espressione, il Parlamento, che, sebbene non disconosciuto in quanto istituzione, non viene più convocato già a partire dal 1698-99. Nel 1721, il 31 dicembre, è istituito a Torino il "Supremo consiglio di Sardegna", che eredita e sostituisce le attribuzioni del Consiglio d'Aragona e sovrintende a tutte le questioni di maggiore incidenza politica nel governo dell'isola e svolge anche la funzione di tribunale supremo. Riguardo le operazioni di governo locale, il viceré è affiancato da un Intendente generale, il cui compito è quello di gestire il governo dell'intera economia isolana. Altri elementi di novità sono costituiti dalla formazione di un bilancio unico di tutte le entrate e uscite, che mette ordine a un'amministrazione finanziaria articolata in diversi rami; la creazione di un servizio interno di poste; l'emanazione di precisi regolamenti di competenze dei funzionari piemontesi; l'istituzione (1738) delle Tappe di insinuazione degli atti notarili per una maggiore certezza e affidabilità alle attività di notariato.  Il passaggio del Regno di Sardegna dagli Asburgo di Spagna ai Savoia, per quanto attiene il discorso sui prodotti artistici, non comporta sostanziali mutamenti circa i tradizionali rapporti con le città italiane del Mediterraneo, fatta eccezione naturalmente per l'inserimento nel quadro culturale delle scelte estetiche dei nuovi sovrani. Nonostante il persistere di un gusto artistico di derivazione iberica, si assiste, per quanto riguarda le commissioni, a un progressivo distacco dalla Spagna e ad un intensificarsi di relazioni con Napoli, Genova e Roma. Continua pertanto l'importazione di opere iberiche sebbene la loro diffusione abbia luogo nei piccoli centri dell'interno, stazioni periferiche in cui la resistenza opposta alle novità politiche e culturali del nuovo governo è più forte e dove risulta più facile sfuggire al controllo messo in atto nei centri maggiori. È infatti chiara da subito la volontà da parte della classe dirigente piemontese di operare cambiamenti radicali all'interno della concezione dell'arte invalsa in Sardegna, come dimostra il ruolo affidato agli ingegneri militari che, oltre a occuparsi della riorganizzazione delle fortificazioni e delle torri litoranee, sovrintendono alla costruzione di chiese, conventi ed edifici civili, operando in tal modo una progressiva sostituzione dei sistemi costruttivi gotici dei "picapedrers" e dei maestri muratori con quelli piemontesi, con una ripercussione anche sulla scelta dei materiali. Si tratta però di una politica culturale accentratrice che soltanto lentamente finisce per incidere nel tessuto culturale. Il 3 marzo 1799 il re di Sardegna Carlo Emanuele IV di Savoia sbarca a Cagliari con una corte di familiari e collaboratori in seguito alla fuga dal Piemonte, invaso dalle truppe di Napoleone Bonaparte. La presenza della corte nell'isola, protrattasi fino al 1814, da un lato imprime vigore alla restaurazione politica e civile, dall'altro fa guadagnare ai Savoia un nuovo consenso, soprattutto delle classi dirigenti che avranno poi un coinvolgimento nelle attività di governo. La presenza sabauda costituisce inoltre sia uno stimolo per le trasformazioni del gusto e della cultura, sia un elemento di freno rappresentato dalle esigenze di una nobiltà prebendata e di una grossa burocrazia. In merito alle trasformazioni culturali è stata di rilevante importanza la figura di Carlo Felice, prima reggente poi regnante, la cui azione ha portato all'organizzazione dell'istruzione pubblica (anche universitaria) e all'espansione della vita culturale con l'istituzione di un museo e la promozione delle Belle Arti. Tra i fattori di mutamento delle consuetudini e del gusto è da rilevare la rivalutazione – nel rapporto di alterità con la città – della campagna quale risorsa economica da gestire razionalmente. Non è un caso infatti che Carlo Felice, durante il suo secondo viceregno, si stabilisce a Villa d'Orri, la dimora di campagna del suo amico e consigliere marchese Stefano Manca di Villahermosa, situata sul Golfo di Cagliari a una ventina di chilometri dalla città. Questa nuova visione delle cose si concretizza tra l'altro nella costruzione di monumentali portali d'accesso alle proprietà coltivate e organizzate in azienda.


Palazzo Regio Savoia Cagliari particolare salottino
Ritratto del Viceré Balthasar de Zuniga y Gusman periodo Sabaudo Sardegna
L’età sabauda e contemporanea dal 1718 a oggi

Il definitivo passaggio della Sardegna ai Savoia nel 1718, non segna un’interruzione delle fabbriche in corso, contrassegnate dall’adesione al linguaggio tardobarocco, destinato a perdurare sino alla fine del secolo. Tra il 1674 e il 1712 viene costruito il complesso gesuitico di San Michele a Cagliari, decorato ad affresco da Giacomo Altomonte. Nel 1722 Antonio Felice De Vincenti esegue i disegni per la nuova basilica di Bonaria a Cagliari, secondo i modi di Guarino Guarini e Filippo Juvarra. Dallo schema di questa facciata, mai realizzata, deriveranno quelli di altre chiese sarde, fra cui la parrocchiale di Nostra Signora delle Grazie a Sanluri, eretta fra il 1781 e il 1786 su progetto di Carlo Maino e Antonio Ignazio Carta. Il linguaggio tardobarocco si esplica soprattutto nel complesso (chiesa e monastero) del Carmine di Oristano, progettato nel 1776 dal piemontese Giuseppe Viana. L’allineamento alle mode degli ambienti artistici italiani si intensifica nel XIX secolo con l’opera di alcuni architetti nativi dell’isola ma formatisi a Torino, al corrente delle forme neoclassiche che andavano diffondendosi in Europa. Giuseppe Cominotti progetta il cappellone di San Luigi Gonzaga nella cattedrale di Oristano (1829-37), dove si collocherano sculture neoclassiche del sassarese Andrea Galassi (1793-1845). Antonio Cano dirige la ristrutturazione della chiesa francescana di Santa Maria di Betlem a Sassari (1829-34) e la costruzione della cattedrale di Santa Maria della Neve a Nuoro (1835-40). Il protagonista del secolo XIX in Sardegna è l’architetto cagliaritano Gaetano Cima, cui si devono la chiesa di Santa Maria assunta a Guasila (1839-52) e l’ospedale di San Giovanni di Dio a Cagliari (1844-48), che lo pongono al passo con il funzionalismo in campo internazionale. Alla metà del XIX secolo il pittore più rappresentativo è Giovanni Marghinotti (1798-1865), che nel 1830 dipinge la grande tela con Carlo Felice munifico protettore delle Belle Arti in Sardegna, oggi nel Palazzo civico di Cagliari, e dipinge poi per il Palazzo reale di Torino. L’ultimo quarto del secolo è segnato sia dagli sforzi artistici volti alla costruzione di un’Italia sabauda anche culturalmente unitaria, sia dalla valorizzazione delle specificità storiche dell’isola. A Oristano si innalza il Monumento di Eleonora d’Arborea, realizzato nel 1875-77 da Ulisse Cambi e Mariano Falcini. A Sassari e a Cagliari si eseguono grandi cicli decorativi, a celebrazione di casa Savoia. Gli affreschi delle sale consiliari del Palazzo provinciale di Sassari sono affidati al catanese Giuseppe Sciuti (1878-82), quelli del Palazzo di Cagliari al perugino Domenico Bruschi (1893-96). La lenta e difficile integrazione nell’Italia delle nazioni ha come contropartita, nel primo trentennio del Novecento, l’invenzione di un’identità artistica sarda, perseguita dallo scultore Francesco Ciusa (1883-1949), dai pittori Giuseppe Biasi (1885-1945), Filippo Figari (18851974) e Mario Delitala (1887-1990), e soprattutto dalla poliedrica attività, fra arte, artigianato e design, dei fratelli Melkiorre e Federico Melis. Il processo di costruzione di un’arte connotata da caratteri regionali sardi si arresta nel ventennio fascista, quando in campo architettonico si assiste a una decisa accelerazione verso la modernità, secondo i canoni funzionalisti perseguiti dagli architetti di regime. Il dopoguerra vedrà da un lato la stanca ripetizione di quelle formule folkloriche inaugurate da Biasi, Figari e Delitala, dall’altro l’adeguamento agli stimoli che provenivano dalla contemporaneità internazionale, soprattutto nell’opera di Eugenio Tavolara (1901-1963) e Mauro Manca (1913-1969). Negli ultimi decenni del XX secolo la Sardegna è inserita pienamente nella globalizzazione che interessa ormai l’intero ambito della cultura non solo occidentale. A distinguersi sono soprattutto le sculture di Costantino Nivola (1911-1989), nelle quali l’esperienza maturata negli Stati Uniti si coniuga a un’originale riscoperta delle radici classiche e mediterranee del linguaggio artistico-artigianale del popolo sardo. Il Museo Nazionale “G.A. Sanna” di Sassari si trova nella Via Roma in un edificio di stile neoclassico, realizzato per volere della famiglia Sanna Castaldi al fine di ospitare il gabinetto archeologico dell’Università e le collezioni archeologiche e artistiche lasciate da Giovanni Antonio Sanna, direttore delle miniere di Montevecchio. Il museo fu inaugurato nel 1931 e nel 1947, grazie alla donazione di Gavino Clemente, si arricchì di una sezione etnografica. Nel 1973 fu costruita una nuova ala che permise un’esposizione più razionale dei materiali. Attualmente il museo si articola in due sezioni: una archeologica e una etnografica, suddivise in 17 sale dotate di pannelli didattici esplicativi. La ricca sezione archeologica comprende materiali che vanno dall’età preistorica a quella medievale: dee madri in pietra, ceramica greca ed etrusca, bronzetti figurati nuragici che rappresentano arcieri, guerrieri, popolani, navette e animali, gioielli punici ed una buona quantità di oggetti romani. La sezione etnografica include abiti, gioielli, manufatti tessili, coltelli, cestini e qualche strumento agricolo della tradizione sarda. Il museo possiede inoltre una pinacoteca con opere di pittori sardi, come Biasi e Marghinotti, italiani e stranieri, dal XIV al XX secolo. La celebre piazza dedicata all’avvocato e poeta Sebastiano Satta è sita nel cuore della città di Nuoro, fra il Corso Garibaldi e l’antico quartiere di San Pietro. Fu progettata e realizzata nel 1966 da Costantino Nivola, nato a Orani, in provincia di Nuoro, nel 1911 e trasferitosi nel 1938 negli Stati Uniti, dove assurse a notorietà internazionale. Piazza Satta è caratterizzata da una pavimentazione in lastre di granito, sulle quali sono adagiati dei sedili in pietra e delle rocce naturali granitiche, prelevate nel vicino Monte Ortobene. Queste, appositamente scavate, ospitano piccole statue di bronzo che ritraggono il poeta Satta in atteggiamenti quotidiani, insieme ai personaggi descritti nelle sue opere. Alta testimonianza dell’arte del Nivola, l’opera ne esprime al meglio una delle principali direttrici: la continua e meditata ricerca di un innesto vivo della scultura nello spazio urbano.


Cagliari Palazzo Regio facciata
Palazzo Regio Cagliari

Come arrivare
Piazza Palazzo è facilmente raggiungibile dalla via Roma, salendo per il viale Regina Margherita e il Bastione di Saint Remy. L'edificio occupa un'ampia area tra il Terrapieno e la piazza Palazzo, nel quartiere storico di Castello. Attualmente è sede della Prefettura e del Consiglio Provinciale di Cagliari.

Descrizione
Il Palazzo fu impiantato all'epoca della presenza pisana e venne adibito a sede viceregia nel 1337 per volontà di Pietro d'Aragona, sovrano del "Regnum Sardiniae et Corsicae". Nel corso dei secoli subì varie modifiche strutturali volte a migliorare i caratteri di funzionalità richiesti dai sempre nuovi e diversi uffici e istituti disposti dai governatori del Regno. Nei suoi locali, oltre agli appartamenti privati dei componenti la corte viceregia, ebbero sede la Reale Udienza e la direzione della difesa militare dell'isola. Soltanto a partire dal 1720, con il passaggio dalla monarchia asburgica a quella sabauda, ci furono cambiamenti sostanziali, che comportarono sia la ristrutturazione degli interni sia il rifacimento della facciata.



Nel 1730, su progetto dell'ingegnere capo De Guibert, furono ricostruiti integralmente il portale, l'atrio e lo scalone d'onore e si avviarono i lavori di abbellimento del salone della Reale Udienza. All'ingegnere Della Vallea (attivo a Cagliari dal 1735 fino alla morte nel 1744) si deve la ristrutturazione del piano nobile con la sistemazione di una serie di saloni sul fronte O; mentre la facciata, che un'iscrizione al centro del prospetto in asse col portone principale dice conclusa nel 1769 per volontà del viceré Ludovico De Hallot, si dovrebbe a un disegno di Saverio Belgrano di Famolasco, che progettò anche il prospetto a E, sopra il Terrapieno. Dal 1799 al 1815, in seguito all'occupazione francese del Piemonte, il palazzo divenne la dimora della corte sabauda. In seguito passò all'Amministrazione Provinciale che lo acquistò nel 1885 dal demanio dello Stato.
Il prospetto principale, caratterizzato dall'estensione sul piano longitudinale, è costituito da tre ordini di finestre incorniciate da paraste monumentali in pietra, che si sviluppano a tutta altezza e poggiano su una zoccolatura realizzata in pietra forte che segue l'inclinazione del terreno.



Le finestre del piano nobile, sormontate da cornici aggettanti, si aprono su balconi di forma ricurva, sostenuti da mensole e con ringhiere in ferro battuto. Un alto parapetto con cornicione conclude la parte superiore dell'edificio. Il ritmo dato dall'alternarsi delle finestre e delle paraste è interrotto dal portale centrale, con arco a tutto sesto e inquadrato da due colonne doriche che sorreggono il balcone sovrastante, sul quale si apre una porta-finestra centinata recante l'iscrizione CAROLUS EMANUEL III PROREGE D. LUDOVICO DE HALLOT COMES DE HAILES REFECIT ORNAVIT MDCCLXIX. L'atrio introduce alla scalinata che porta al piano nobile; quindi si passa, attraverso la sala con i ritratti dei viceré, nell'aula del consiglio provinciale, realizzata nella sua attuale configurazione alla fine dell'Ottocento e decorata tra il 1893 e il 1896 da Domenico Bruschi. Al secondo piano si accede attraverso due scale di servizio. Il prospetto E, che strapiomba sulla passeggiata del Terrapieno, è articolato in arcate semiobliterate e concluse da finestroni.



Storia degli studi
L'architettura del palazzo è oggetto di una sintetica scheda nel volume di Salvatore Naitza (1992), mentre la decorazione della Sala del Consiglio è descritta in quello di Maria Grazia Scano (1997), entrambi della collana "Storia dell'arte in Sardegna".

Bibliografia
G. Spano, Guida della città e dintorni di Cagliari, Cagliari, Timon, 1861; D. Scano, Forma Karalis'' Cagliari, Societa editrice italiana, 1934; M. Cabras, "Le opere del De Vincenti e dei primi ingegneri militari piemontesi in Sardegna nel periodo 1720-1745", in Atti del XIII congresso di storia dell'architettura. Sardegna), I, Roma, Centro di studi per la storia dell'architettura, 1966, pp. 291-310; E. Coiana, "Il Palazzo della Provincia", in Almanacco di Cagliari, 1976, srnza pagine; S. Naitza, Decorazioni nel Palazzo Viceregio di Cagliari, Cagliari, Amministrazione Provinciale di Cagliari, 1981.


Villa D'Orri Sarroch
Villa d'Orri Sarroch

Come arrivare
Sarroch dista 20 km da Cagliari. Villa d'Orri, di proprietà dei marchesi Manca di Villahermosa, sorge nella località omonima. Per chi viene da Cagliari è sulla sinistra della vecchia strada, che si imbocca lasciando sulla destra quella nuova verso Pula. La villa si inserisce in un giardino, al centro di una vasta tenuta agricola che conserva i segni della pianificazione settecentesca.



Descrizione
Quando nel 1774 don Giacomo Manca Amat acquistò il terreno nella zona denominata "Vigna di Orri" dai coniugi Palmas, non esisteva ancora una costruzione che potesse definirsi padronale, bensì una ventina di case rustiche con porticati e cortili, la chiesa dedicata alla Santissima Vergine del Carmelo o Santa Maria di Orri, una bottega, la cosiddetta "Ostaria Vecchia", sorta forse sul luogo dell'antica stazione di posta della strada romana da Nora a Cagliari, due giardini, un orto chiuso, due mulini, una fonte, la vigna e circa duemila alberi da frutto. Nel 1799 don Giacomo, quasi settantenne, trasferitosi di nuovo a Sassari e non potendo seguire i suoi affari nella capitale, cedette al figlio Stefano il predio di Orri. Ed è a quel periodo che si può pertanto far risalire la costruzione della villa o la ristrutturazione di uno dei caseggiati rustici. Le vicende della Villa d'Orri sono strettamente legate alla figura di Stefano, marchese di Villahermosa e Santa Croce che, oltre a edificare la villa e farne un importante centro di riferimento culturale e familiare, ospitò nei primi anni dell'Ottocento, proprio nella tenuta di Orri, il re Carlo Felice e la corte in esilio. Successivamente, alla morte di Stefano Manca di Villahermosa, le vicende della famiglia videro la tenuta di Orri ora in buone condizioni, ora abbandonata a se stessa. I discendenti della famiglia Manca preferirono la residenza cittadina a quella di campagna, riservando attenzione soprattutto alla produzione agricola dei terreni circostanti; alla fine dell'Ottocento la villa fu affittata per molti anni prevalentemente a stranieri che restavano incantati dalla bellezza del luogo.



La villa conobbe un nuovo periodo di sviluppo con don Vincenzo Manca Aymerich. Ai primi del Novecento, dopo il suo matrimonio con Sofia Franchetti, appartenente a una nobile e facoltosa famiglia toscana, don Vincenzo restaurò la villa per farne la propria residenza d'elezione durante i soggiorni nell'isola. Risanate dalla malaria le terre circostanti, ripuliti il parco e l'accesso al mare, Orri divenne di nuovo un luogo di villeggiatura, particolarmente apprezzato nel periodo estivo.
Dopo la seconda guerra mondiale la villa subisce, da parte del Genio Civile, il rifacimento parziale delle coperture e viene riedificata un'ala completamente distrutta. L'intero complesso architettonico è impostato su un'asse O-E: asse visivo che dal tracciato stradale arriva al mare; asse di simmetria dell'impianto planimetrico e dei due prospetti principali della villa; asse lungo il quale si articola l'intero organismo composto dal borgo prevalentemente in terra cruda, dai depositi, dalla residenza signorile, dai magazzini.
Il corpo centrale della villa (residenza signorile) è esattamente sul confine fra due sistemi di verde: campi coltivati e parco (nella seconda metà dell'Ottocento è sede del vivaio più fornito in Sardegna), dicotomia che si riscontra nei due giardini antistanti, uno a monte (O) formale all'italiana, l'altro a mare (E) più casuale. Il piano terra è adibito a magazzino e fra i vani che lo compongono ne sono stati rilevati tre a pianta rettangolare con copertura a padiglione impostata su un arco a sesto acuto. Tre stanze si aprono su un loggiato che si estende lungo il prospetto E per circa 35 m; è composto da undici arcate a tutte sesto e coperto da volte a vela.



La ricchezza manifestata dagli arredamenti interni non traspare affatto dai due austeri prospetti principali, entrambi simmetrici e composti con un rigore quasi ingegneristico. A monte una doppia scala esterna, evidenziata da quattro busti marmorei, da l'accesso al piano nobile direttamente dal giardino. Dalla parte opposta una scala, alquanto anomala, permette il collegamento fra la terrazza del piano nobile ed il parco. Questa scala risulta architettonicamente un oggetto a sé, con un vago gusto neoclassico, pregevole nell'insieme, ma in dissonanza con il rigore riscontrabile ovunque. Sia il parco sia il complesso architettonico versano oggi in avanzato stato di degrado. Attualmente la villa, di proprietà dei discendenti di don Vincenzo, custodisce le memorie e gli archivi della famiglia Manca di Villahermosa.

Storia degli studi
Una rassegna degli studi si trova nella bibliografia relativa alla scheda nel volume della "Storia dell'arte in Sardegna" sull'architettura sei-ottocentesca (1992).


Busto Umberto I Palazzo Regio Cagliari
Ritratto di Maria Antonia Ferdinanda di Spagna periodo Regno Savoia Sardegna
Le fabbriche architettoniche di età sabauda

Alcune importanti fabbriche cittadine, di lungo corso, contrassegnano il momento di passaggio della Sardegna dai reali di Spagna ai sovrani sabaudi. Nel 1714 si completano, con il portico di facciata decorato da scultori lombardi e genovesi, gli interventi edilizi tardobarocchi nella cattedrale di San Nicola a Sassari, di fondazione romanica, ristrutturata in età aragonese, da sempre il fulcro monumentale del centro storico cittadino. Tra il 1674 e il 1712 viene costruito il complesso gesuitico di San Michele a Cagliari, con imponente facciata tardobarocca relativa in realtà al portico che si affianca alla chiesa sviluppata secondo direttrici centriche, sostenute dall'apparato decorativo anche qui di tipologia iberica. Sulla linea della locale tradizione tardomanierista, inaugurata dalla cattedrale cagliaritana e aggiornata solo superficialmente dagli arredi barocchi, si elabora la cattedrale di San Pietro ad Ales, edificata tra il 1686 e il 1725 sotto la direzione di Domenico Spotorno. Tra il XVIII e il XIX secolo il centro storico di Oristano viene a configurarsi nelle emergenze monumentali oggi più significative e connotanti il suo tessuto urbano. La cattedrale di Santa Maria assunta, fino a quel momento configurata ad aula romanica (primi decenni del XII secolo) con transetto gotico-italiano (metà del XIV secolo), va incontro entro il 1745 a un'integrale ricostruzione, secondo una planimetria ancora una volta tardomanierista ma aggiornata, nell'alzato, a modi che nei successivi momenti di fabbrica siglano l'ulteriore, graduale transizione dal barocco al neoclassico, destinato ad affermarsi dagli inizi del XIX secolo.


Sassari Cattedrale di San Nicola facciata del settecento.
Sassari Cattedrale di San Nicola facciata del settecento esterno.
Ales Cattedrale di San Pietro
Oristano cattedrale di Santa Maria Assunta
Giuseppe Sciuti: Ingresso trionfale di Giommaria Angioy a Sassari, 1879
Sa die de sa Sardigna

Sa die de sa Sardigna è la festa del popolo sardo che ricorda i cosiddetti "Vespri Sardi", cioè l'insurrezione popolare del 28 aprile 1794 con il quale si allontanarono da Cagliari i Piemontesi e il viceré Balbiano in seguito al rifiuto del governo torinese di soddisfare le richieste dell'isola titolare del Regno di Sardegna.

I Sardi chiedevano che venisse loro riservata una parte degli impieghi civili e militari e una maggiore autonomia rispetto alle decisioni della classe dirigente locale. Il governo piemontese rifiutò di accogliere qualsiasi richiesta, perciò la borghesia cittadina con l'aiuto del resto della popolazione scatenò il moto insurrezionale. Il movimento di ribellione era iniziato già negli anni Ottanta del Settecento ed era proseguito negli anni Novanta toccando tutta l'isola. Le ragioni erano di ordine politico ed economico insieme. Il motivo del malcontento popolare era dovuto anche al fatto che la Sardegna era stata coinvolta nella guerra della Francia rivoluzionaria contro gli stati europei e dunque contro il Piemonte. Nel 1793 una flotta francese aveva tentato di impadronirsi dell'isola, sbarcando a Carloforte e insistendo successivamente anche a Cagliari. I Sardi però opposero resistenza con ogni mezzo, in difesa della loro terra e dei Piemontesi che dominavano allora in Sardegna. Questa resistenza ai Francesi aveva entusiasmato gli animi, perciò ci si aspettava un riconoscimento ed una ricompensa dal governo sabaudo per la fedeltà dimostrata alla Corona. La scintilla che fece esplodere la contestazione fu l'arresto ordinato dal viceré di due capi del partito patriottico, gli avvocati cagliaritani Vincenzo Cabras ed Efisio Pintor. Siamo appunto al 28 aprile del 1794: la popolazione inferocita decise di allontanare dalla città il viceré Balbiano e tutti i Piemontesi, che nel mese di maggio di quell'anno furono imbarcati con la forza e rispediti nella loro regione. Incoraggiati dalle vicende cagliaritane, gli abitanti di Alghero e Sassari fecero altrettanto.
 

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