A QUEL PAESE!
Nel 1929 Tarquinio Sini pubblica il divertentissimo romanzo illustrato (da lui, ovviamente!) A quel paese… Romanzo moderno (ad imitazione di tanti altri) per uso esterno, spietata rappresentazione di tutti i luoghi comuni sulla Sardegna. Il libro è dedicato «A Primo Sinopico e Giovanni Manca, pittori sardi che toccarono le somme vette dell’arte senza l’ausilio del folklore»; viene venduto a «Dieci lirette, per gli amici il doppio»; e si apre con un’autocaricatura di Sini in abito teuladino, in calce alla quale si legge: «Fu domandato a Tarquinio Sini: – Che cos’è l’umorismo? – e Sini rispose: – L’umorismo è l’arte di vedere le cose come sono e non come te le fanno vedere il sentimento e la passione».
Per tutta la narrazione l’autore persegue quindi questo intento, gioca a svelare l’immagine della “vera Sardegna”. Ma quale Sardegna? Quella dei banditi feroci, delle donne in costume d’orbace, degli scontri a fuoco – sempre, s’intende, al riparo di un muretto a secco o di una siepe di fichi d’India –, quella insomma che si aspettano i turisti (ieri, dunque, esattamente come oggi) e la cui immagine tanti sardi si affannano ad alimentare. Che fatica per la povera Cosette, cocotte in viaggio di svago, dover indossare il pesante costume sardo per sedurre (dopo aver amaramente digerito la scoperta che le donne sarde avevano le gonne più corte delle sue) un affascinante e selvaggio bandito, che poi – colmo della delusione – risulta essere anch’egli un turista camuffato alla ricerca di colore locale.
E che fatica per il povero maître d’hotel, impegnato, per non deludere i suoi “avventurosi” ospiti, ad impiantare finte siepi di fico d’India a contorno di finti nuraghi, o a togliere l’acqua corrente (calda, per giunta!) dalle stanze del suo albergo, a ricostruire insomma scenografiche ambientazioni da “vera Sardegna”, barbara e selvaggia.
Oggi – che ancora da tanti la Sardegna è identificata con “l’isola delle vacanze” (da sogno) per veline, calciatori, stilisti e politici o in alternativa con una terra abitata da pastori (rigorosamente trogloditi) e banditi – appare in tutta evidenza la straordinaria modernità di questo artista, lucido e intelligente a tal punto che le sue opere sono ancora portatrici di un discorso di viva e coraggiosa attualità.
TEULADA
Nel 1929 Tarquinio Sini sposa l’amatissima Ina, Teresa Tanda, celebre cantante lirica che incideva per una delle più prestigiose case discografiche dell’epoca, La voce del padrone. La coppia si trasferisce a Teulada, paese del Sulcis conosciuto attraverso i racconti di un suo “cittadino onorario”, l’amico artista Mario Mossa De Murtas. Durante questo soggiorno sostiene un doppio registro artistico. Da un lato realizza una serie di opere distanti dai modi ironici a lui consueti, quasi dei saggi pittorici a dimostrazione di quanto ripetutamente dichiarato: «Anche io potrei, volendo, da oggi a domani, fare l’arte pura». I suoi soggetti sono gli uomini, ritratti nel loro costume tradizionale: anche in questo caso Sini procede per “repliche” dello stesso soggetto, per arrivare progressivamente ad una efficace semplificazione formale e coloristica a favore del netto contrasto tra neri profondi e bianchi abbacinanti. Dall’altro non rinuncia comunque alla sua verve ironica, ed ecco allora La straniera e La caccia alla volpe, veri Contrasti in ambiente sulcitano, nei quali ai rudi barbaricini si sostituiscono gli spagnoleggianti teuladini dall’inconfondibile cappello a larghe falde e alto colletto ricamato, personaggi che continuerà a raffigurare anche quando lascerà il piccolo centro.
Nelle opere di questo periodo è particolarmente accentuato il dato caricaturale: Idillio a Teulada e Donne di Teulada con brocche a tutti gli effetti sembrano una parodia dell’abusato soggetto – da parte degli artisti sardi, che lo ritenevano indispensabile per il loro pedigree – delle sarde canefore di statuaria bellezza nei costumi colorati; nella tempera La pipa della festa esaspera ancor più i toni, accoppiando una terribile virago baffuta (quasi una drag queen ante litteram) ad un virilissimo e assolutamente noncurante esemplare di “maschio sardo” intento ad accendersi la pipa con tranquilla e posata gestualità.
La pace idillica del piccolo borgo non era però la condizione ideale per lo stracittadino Sini che, stimolato dalla possibilità di nuove esperienze, si trasferisce a Milano.
17 FEBBRAIO 1943
Il 17 febbraio 1943 i bombardieri americani fecero la loro comparsa nel cielo di Cagliari; sganciarono sulla città una pioggia di bombe che al contatto con il suolo si frantumavano in micidiali schegge. Il giorno morirono oltre cinquanta persone, centinaia furono i feriti: e fu solo l’inizio della tragedia che distrusse Cagliari.
«Nella via Sant’Efisio, avveniva un macello all’imbocco di un rifugio, verso il quale accorreva una folla di persone spiritate per le vicine detonazioni. Tarquinio Sini fu colto in quei pressi, quasi al limitare della sua casa, da un impeto di frammenti dirompenti … Della carneficina si apprese ben presto e il nome di Tarquinio, il più noto ed amato dei caduti, correva di bocca in bocca ».
Con queste parole l’avvocato Guido Scano scrive sui giornali della scomparsa dell’amico, restituendo il senso di sgomento e dolore che in quei giorni governava la città.
Nei bombardamenti successivi la totale distruzione dello studio dell’artista, situato in piazza del Carmine, causò la perdita del suo archivio e di tutte le opere.