Cookie Consent by Free Privacy Policy website

Tarquinio Sini :: Pittore di origine sassarese precursore nel modo di intendere l'arte pittorica - Le Vie della Sardegna :: Partendo da Sassari Turismo, Notizie Storiche e Attuali sulla Sardegna, Sagre Paesane e Manifestazioni Religiose, Cultura e Cucina Tipica Sarda, Monumenti da visitare, Spiagge e Montagne dell'Isola. Turismo in Sardegna, itinerari enogastrononici e culturali, suggerimenti su B&B, Agriturismi, Hotel, Residence, Produttori Prodotti Tipici, presenti nel territorio. Informazioni e itinerari su dove andare, cosa vedere, dove mangiare, dove dormire sul Portale Sardo delle Vacanze e dell'Informazione. Sardegna Turismo dove andare e come arrivare, tutte le notizie che vuoi conoscere sull'Isola più bella del Mediterraneo. Scopri sul Portale Le Vie della sardegna le più belle località turistiche dell'Isola e la loro storia, i personaggi illustri e di cultura nati in terra Sarda.

Vai ai contenuti

Menu principale:

Tarquinio Sini :: Pittore di origine sassarese precursore nel modo di intendere l'arte pittorica

Cultura Sarda > Personalità Sarde
Tarquinio Sini

Tarquinio Sini nasce a Sassari il 27 marzo del 1891. Tra il 1895 e il 1908 si trasferisce con la famiglia prima per un breve periodo a Roma, dove il padre Vincenzo, ottimo sarto, cerca una migliore sistemazione lavorativa, ed infine a Cagliari. Nel capoluogo sardo frequenta l’Istituto Tecnico Ghera ed è allievo di disegno del pittore Aristide Marozzi; in questi anni realizza sintetiche e divertenti caricature per alcuni giornali locali: nel 1908 illustra il foglio satirico "Le donne, i cavalier, l’arme e gli amori", l’anno successivo collabora insieme a Primo Sinopico all’albo di beneficenza Pro Sicilia e Calabria ed esordisce sulle pagine della rivista umoristica nazionale "Ma chi è?" Tra il 1909 e il 1913 è a Torino dove frequenta il Politecnico; grazie alla conoscenza con il cagliaritano Giovanni Manca inizia a collaborare, disegnando alcune vignette, con il settimanale satirico Pasquino. In breve tempo Sini diventa una delle colonne della rivista, assumendone la direzione sino al 1914 quando verrà sostituito da Piero Ciuffo prima e successivamente da Enrico Gianeri, entrambi conterranei. Nel 1911 partecipa al Frigidarium di Rivoli, grande mostra sulla caricatura organizzata da Manca e Golia. Le illustrazioni di Sini, vignette e copertine dai colori accesi e dal segno dinamico e vivace, incontrano il favore del pubblico e vengono poi pubblicate anche sulle pagine dei più prestigiosi giornali satirici europei: Le Rire, Caras y Caretas, Revue, Review of reviews, Puck, Jugend. Nella Torino capitale nazionale del cinema, nel 1914, Sini prende la decisione di accantonare matite e pennelli e ottiene un contratto con la Savoia Film, dove lavora come soggettista, sceneggiatore e perfino regista di scene in esterni. Allo scoppio della guerra Sini parte per Parigi, dove realizza etichette per un Institut de Beauté; il soggiorno parigino viene interrotto dall’entrata in guerra dell’Italia. Sini, richiamato alle armi, non viene mandato al fronte come egli stesso auspicava, bensì distaccato in Umbria per la requisizione dei cereali; questa situazione gli permette di continuare il suo lavoro di illustratore, così nel 1915 inizia a collaborare con la rivista Numero. Nel 1916 tiene una mostra a Genova, in questo periodo cura la rubrica “Il Mondo genovese” per la testata Il Mondo.

BALLO SARDO, 1933-35, Tarquinio Sini Pittore
Alla fine del conflitto (1918) è assunto a Roma dalla Cines come cartellonista e collabora con varie riviste cinematografiche per il periodo che va dal 1919 al 1924. Frequenta la cerchia del giornalista Pasquale Marica, di cui fanno parte anche Mario Mossa De Murtas, Melkiorre Melis e Luigi Caldanzano. I contatti con l’ambiente futurista lo portano a esporre nella Casa d’Arte di via degli Avignonesi, diretta da Anton Giulio Bragaglia, una serie di ritratti dei divi del momento. Collabora con le riviste cinematografiche Fortunio, Contropelo e L’illustrazione dell’Arte Cinematografica Italiana. Condivide lo studio con Mario Mossa De Murtas, ed insieme sperimentano la possibilità di realizzare per il cinema dei cortometraggi con i disegni animati. Verso la metà degli anni Venti l’artista rientra a Cagliari (1925/26), dove continua l’attività di cartellonista (manifesti per le ditte cagliaritane Gaudina e Faggioli) e pubblica caricature su fogli e riviste locali (Clerici Vagantes, Il Goliardo, Su Bandidori, L’uovo pasquale); di particolare rilievo la lunga collaborazione con Mediterranea, per la quale realizza diverse copertine a colori e i fregi interni.
Tra il 1927 e il 1929 espone nella Bottega d’Arte Cau le venticinque tempere che formano il ciclo dei Contrasti, ironica raffigurazione del confronto tra la Sardegna tradizionale e la modernità cittadina; la serie avrà tanto successo da venir riprodotta in cartoline di vastissima diffusione (edizioni Cau, Ledda e Dessì), e qualche anno dopo ispirerà anche una serie di mattonelle in ceramica. Intanto Sini rinfocola la polemica strapaese-stracittà anche dalle pagine dei quotidiani locali sulle quali è presentissimo in veste di recensore e critico. Nel 1929 espone una serie di circa venti tempere nel negozio Margelli di Sassari. Nello stesso anno collabora con Pattuglia, giornale degli universitari fascisti di Cagliari, e pubblica il divertente romanzo umoristico "A quel paese" (Cagliari, SEI), da lui interamente scritto e illustrato, improntato sul rapporto strapaese-stracittà, nel quale con grande lungimiranza individua quelli che ancora oggi sono i luoghi comuni della Sardegna vista da “fuori”. Ancora nel 1929 sposa la cantante lirica Teresa Tanda, e si trasferisce per circa un anno a Teulada, paese del Sulcis che all’inizio del secolo Giuseppe Biasi e Mario Mossa De Murtas avevano eletto loro “patria”, dipingendo in numerose opere gli scorci paesistici e i particolari costumi del luogo. Numerose sono le tempere realizzate in questo periodo da Sini, protagonisti assoluti sono i teuladini abbigliati con il costume tradizionale caratterizzato dal cappello a tesa larga e dalle “mastruche”.
Nel periodo che va dal 1930 al 1938 si trasferisce per un periodo a Milano dove lavora come illustratore per la Sonzogno. In questi anni si dedica soprattutto alla cura di allestimenti negli ambiti più differenti: padiglioni per raduni ed esposizioni pubblicitarie (Siena 1933, 1935; Roma 1939), teatri (nel 1937 disegna la scena per un intermezzo teatrale su musiche di G. B. Pergolesi), locali pubblici (a Cagliari suggerisce il disegno degli arredi, oggi perduti, del caffè Torino in via Roma), pur non trascurando la sua attività pittorica: nel 1932 e nel 1934 allestisce infatti due mostre personali alla Galleria Palladino di Cagliari.
Nel 1939 allestisce la grande mostra di Arti Popolari a Cagliari. Sempre nel 1939 nasce l’unico figlio, Giantarquinio. Negli anni Quaranta lavora a una nuova serie di Contrasti, questa volta sul bianco-nero, ma purtroppo tutta l’ultima sua produzione è andata perduta con la distruzione del suo studio, ubicato in piazza del Carmine, durante i bombardamenti alleati dell’ultima guerra mondiale.
Il 17 febbraio 1943 Tarquinio Sini muore vittima del primo spezzonamento aereo su Cagliari.


Testi e immagini tratti da:
I MAESTRI DELL’ARTE SARDA
Anna Pau
TARQUINIO SINI
Ilisso Edizioni


LA CACCIA ALLA VOLPE, 1929-30, Tarquinio Sini
CAGLIARI STRACITTÀ, 1933, Tarquinio Sini Pittore.
L’IMMAGINE DELLA VERA SARDEGNA

Nell’ambito artistico della Sardegna del primo Novecento, Tarquinio Sini è stato senza dubbio un personaggio fuori dal comune. Artista straordinario dal sentire “moderno”, ha compreso – in anticipo sui tempi – che la “nuova” cultura è la cultura di massa, la cultura del multiplo, fino a ieri disprezzato e sottovalutato, oggi accessibile a tutti e destinato a scalzare quasi totalmente il “pezzo unico”, mettendo in crisi il ruolo sociale dell’arte e degli artisti. Muovendo da questa consapevolezza ha seguito un suo originale percorso: ha trascurato la pittura, “arte pura”, per dedicarsi alle più svariate attività, proprio quando aveva conquistato il favore del pubblico e della critica, veniva invitato alle esposizioni ufficiali, era ricercato dai collezionisti e recensito nelle cronache d’arte dei giornali. A chi gli chiedeva la motivazione di questa scelta rispondeva ridanciano: «Anche io potrei, volendo, da oggi a domani, fare l’arte pura, ma non mi interessa… dipingo, scrivo, addobbo, decoro, viaggio, espongo: tempo presente del modo indicativo: coniugate pure al futuro». Purtroppo un futuro non c’è stato, Tarquinio Sini è morto a soli cinquantadue anni il 17 febbraio 1943, vittima del primo terribile bombardamento alleato su Cagliari. Scomparso nel pieno della maturità artistica il suo nome è stato a lungo dimenticato dai critici e dagli storici, che hanno velocemente liquidato la sua opera come la promessa non mantenuta di un talento mai veramente espresso. Lasciandosi alle spalle una intensa e fortunata stagione artistica spesa come illustratore delle più celebri testate satiriche italiane e cartellonista dell’allora nascente industria cinematografica,intorno alla metà degli anni Venti Sini torna in Sardegna. Nell’Isola molto è cambiato durante la sua assenza: la grandiosa stagione artistica del primo Novecento ha lasciato i suoi frutti, ha sviluppato un ambito culturale folto e aggiornato, scosso in quel momento dal vento della nazional contesa di Strapaese e Stracittà. Sulle pagine dei quotidiani si dibatte con toni accesi la polemica tra i sostenitori di un’arte sarda fondata sulla rielaborazione dei motivi decorativi tradizionali desunti dalla cultura popolare, e i fautori di un’arte improntata alle istanze moderne dei contemporanei movimenti artistici.
Sini è un sincero sostenitore della modernità; è pur vero che Grazia Deledda, Francesco Ciusa, Giuseppe Biasi hanno portato la Sardegna all’attenzione nazionale, ne hanno fatto amare e vagheggiare la sua primitiva bellezza, ma ricalcare malamente i loro passi non sembra la strada giusta da seguire: «Non credo a un’Arte Sarda, sebbene abbia stima illimitata di molti artisti sardi. Ma a questa mancanza di tradizione artistica non è lecito supplire con lo sfruttamento sistematico di alcuni motivi decorativi ricopiati con licenze di pessimo gusto». Con spirito di ironica polemica ribadisce la sua idea, non solo attraverso articoli, elzeviri, addirittura con un romanzo breve dall’esplicito titolo "A quel paese…" Romanzo moderno (ad imitazione di molti altri) per uso esterno, ma soprattutto con le coloratissime tempere dei Contrasti. Ancora una volta incarna il ruolo di apripista, precursore nel trattare di Sardegna con tono lieve, accantonando l’aura di austera severità che avviluppava tutta la produzione artistica isolana.
È il 1927 quando espone a Cagliari la prima (di tante!) serie dei piccoli quadri animati dalle disinibite cittadine, vestite di pallidi e succinti veli, perfettamente a loro agio fra tenores e sardi mastrucati o davanti agli sguardi perplessi delle ingenue (almeno così presunte) desulesine. A fronte del successo di pubblico riscosso dai suoi soggetti, Sini non esita a realizzarne numerose repliche e varianti e tre serie di cartoline, tirate in centinaia di copie e “modernamente” presenti in tutte le case. La riproduzione sistematica delle sue opere in cartolina è, d’altronde, l’applicazione su larga scala di un esperimento realizzato anni prima, durante una mostra a Genova, e provocatoriamente rivelato dalle colonne dell’Unione Sarda: «Ebbi la faccia tosta di sostituire ben 50 volte, in 3 mesi, un minuscolo quadretto che sia per il soggetto, sia per il colore suggestivo, andava più degli altri. Non potevo metterlo 50.000 lire in catalogo, come fa Canasi, perché i buoni genovesi sarebbero scappati ma, con un po’ di fatica quotidiana, facendo e rifacendo le copie, riuscii a raggranellare ugualmente una cifra considerevole. Quando i miei quadri si pagheranno 50 mila lire cadauno, giuro che non lo farò più». La più autentica vena di Sini è dunque nel suo modo di intendere il senso dell’arte, tramite divulgativo – realmente per tutti – di idee e cultura, nel sincero desiderio di trovare le sue cartoline sistemate negli scaffali di una casa qualsiasi tra «la sarda novella, la sarda poesia / le allegre ceramiche e l’Antologia». E in questo suo intento è riuscito: i Contrasti hanno dato il via ad un genere di grande fortuna, ed hanno contribuito a creare per l’immaginario collettivo il volto della “vera” Sardegna, mix di tradizione (a volte solo di facciata) e modernità (troppo spesso maldigerita), sospesa tra pastorizia e industria, all’eterna ricerca delle sue più antiche e autoctone origini.
Una terra “primitiva” che inesorabilmente condanna le cittadine metropolitane a scoprire, come la Cosette di
"A quel paese...", che le paesane sarde portano le gonne più corte delle loro!

Tarquinio Sini Pittore, prova per una copertina, 1931-33
IDILLIO A TEULADA, 1929-30, Tarquinio Sin
TARQUINIO SINI E MARIO MOSSA DE MURTAS:
I “TEULADINI”

___________________________________________________________________________________________________________

   

Mario Mossa De Murtas (Sassari 1891-Rio De Janeiro 1966), laureato in Giurisprudenza come il pittore Giuseppe Biasi, con il quale compie un lungo viaggio attraverso i paesi della Sardegna, incrocia per la prima volta la strada di Sini sulle pagine di Numero, rivista satirica che sin dal principio (uscì direttamente con il numero due per una trovata di Guido Gozzano che scrisse per l’occasione “La ballata dell’uno”) si avvalse della collaborazione dei più aggiornati illustratori italiani, perfettamente integrati con la linea modernista della testata ispirata a Simplicissimus, la più prestigiosa pubblicazione internazionale di satira. Il sodalizio fra Tarquinio Sini e Mario Mossa De Murtas nasce però anni dopo a Roma, dove i due, all’epoca entrambi cartellonisti per il cinema, frequentano insieme a Pier Luigi Caldanzano e Melkiorre Melis la cerchia del giornalista Pasquale Marica, redattore di Epoca, amico di Marinetti e autore del manifesto futurista Moltiplichiamo i sardi primo materiale di guerra.
I due – «antiaccademici per istinto, formazione e cultura, eccentrici per vocazione, polemici per scelta verso tutti i sintomi di sclerosi culturali, effervescenti ed inquieti», come li ebbe a definire con efficacia il critico Marco Magnani –, scelgono di condividere lo studio e sperimentano la possibilità di realizzare per il cinema dei cortometraggi con i disegni animati, «qualcosa – sosteneva De Murtas – che sta alla cinematografia come il disegno e la caricatura stanno alla fotografia». Hanno, inoltre, una posizione intellettuale molto simile riguardo lo stato dell’arte in Sardegna, entrambi la vedono ammorbata dell’imperversante folklorismo che colpiva ogni espressione artistica e letteraria; Mossa De Murtas stava lavorando al romanzo illustrato "Perché a Tiulè gli uomini portano le mutande", salace parodia della letteratura deleddiana, ed interveniva regolarmente con brevi ma pungenti articoli sulle pagine dell’Unione Sarda e del Giornale d’Italia con riflessioni sull’arte sarda, firmando con l’efficace pseudonimo di “Il sardo in frak”. Sarà probabilmente Mossa De Murtas ad inoculare a Sini (che nel 1929 vi si trasferirà per un anno) l’amore per Teulada, piccolo villaggio del Sulcis dove aveva a lungo soggiornato con Biasi. Egli infatti si era attribuito un’origine teuladina accostando alla sua firma il nome del paese e ritraendosi con l’abito tradizionale (lo stesso farà Sini in un’autocaricatura del 1929) che non di rado indossava per le vie di Roma o per i ricevimenti mondani. Una contraddizione in chi predicava contro l’abuso del folklore? De Murtas così lo spiegava nel 1922 sulle pagine del Giornale d’Italia (in cui interveniva contro certo estremismo di Sini «partito in battaglia contro il folklore»): «E mi ricordo di quella guardia di finanza che mi sedeva davanti sul tram, indossando il mio vecchio e caro costume di Teulada ritornavo da un ricevimento di non so più quale ambasciata. Gli amici l’avevano salutato: – Addio Gavino! Addio Serra! – ed egli aveva risposto al saluto con una stretta pronunzia priva di doppie ed idiotismi. Gli rivolsi dopo poco la parola in sardo, egli sbarrò gli occhi, si fece scarlatto, e finse di non capire; quel disgraziato si vergognava di essere sardo. Ora, ci sono dei cattivi sardi, quelli che stupidamente si gloriano della loro origine, come se fossero il “sale della terra” … ma vi sono dei sardi molto peggiori: quelli che si vergognano della propria madre».

LUCI DELLA CITTÀ, copertina di Films,7 aprile 1931, Tarquinio Sini.
UN PASSO DIFFICILE, 1927-30, Tarquinio Sini.
IL PROSCIUGAMENTO DEL MEDITERRANEO, 1932, Tarquinio Sini
STRAPAESE E STRACITTÀ Nel 1926 nasce sulle pagine della rivista Il Selvaggio la polemica artistico- letteraria di Strapaese e Stracittà, che finisce per diventare uno dei capitoli più interessanti nello sviluppo letterario e artistico della prima metà del Novecento in Italia. Il 30 marzo 1927 in un articolo probabilmente scritto dall’artista Mino Maccari, direttore della testata, si legge: «Il movimento che fa capo al Selvaggio [Strapaese] è l’affermazione risoluta e serena del valore attuale, essenziale, indispensabile delle tradizioni e dei costumi caratteristicamente italiani, di cui il paese è insieme rivelatore, custode e innovatore». Rispondeva a queste dichiarazioni Massimo Bontempelli, fondatore della rivista letteraria 900, che al contrario auspicava un allineamento della cultura italiana ai grandi movimenti artistici e letterari europei, diventando così il vessillifero di Stracittà. La polemica – ricca di implicazioni politiche poiché Strapaese sembrava allinearsi perfettamente al ruralismo propugnato da Mussolini – ebbe una vasta eco in tutta la Penisola. In Sardegna trovò un terreno particolarmente fertile nel quale attecchire, trasformandosi sostanzialmente in una contrapposizione tra folkloristi e antifolkloristi.
LA TECNICA L’illustrazione, editoriale e pubblicitaria, costituisce la gran parte della produzione artistica di Tarquinio Sini: egli realizzava un disegno, una vignetta, una scena, prevalentemente a tempera o a china, per poi affidarle alla stampa zincografica ed ottenere l’immagine stampata, ovvero “l’opera finita”. La tecnica pittorica in assoluto più utilizzata da Sini, quella con la quale è maggiormente a suo agio, è senza dubbio la tempera. Questa è solitamente il mezzo artistico più impiegato da quanti hanno esordito come autodidatti, senza il conforto tecnico di una scuola accademica alle spalle: la tempera è infatti più facilmente gestibile rispetto all’olio, consentendo immediati aggiustamenti e ripensamenti. Nei Contrasti Sini adotta fondamentalmente due soluzioni: da un lato compone le scene su fondo neutro (soprattutto bianco), sul quale si stagliano nette le silhouette dei suoi personaggi senza concessioni a descrizioni d’ambiente, da un altro costruisce fondi a tinte piatte, con campiture uniformi di colore. Raramente utilizza l’acquarellatura, preferendo la tempera secca meglio adatta a definire contorni netti e forme compatte. Per Sini era consuetudine (dichiarata!) replicare, anche a distanza di anni, più volte i soggetti che maggiormente incontravano il favore del pubblico; ciascun dipinto (ognuno considerato dall’autore come “originale”) si distingue per piccole differenze, minime variazioni nei dettagli, che non cambiano assolutamente l’insieme della composizione.
I Cavalli Tarquinio Sini dedica una grande attenzione allo studio dei cavalli. Il critico Nicola Valle ha scritto in proposito che «era riuscito a disegnare i cavalli, per esempio, in prospettiva, a gruppi, nelle più varie posizioni, perché da moltissimo tempo – forse fin dai primi anni della sua carriera – egli ne andava studiando i corpi belli, agili, nervosi, le membra muscolose ed agili, e si può dire ne conoscesse ormai ogni più segreta bellezza, e poteva dipingerne anche ad occhi chiusi due per volta».

I LORO AMICI (1930), Tarquinio Sini Pittore.
PUROSANGUE SARDEGNOLO, 1928-30, Tarquinio Sini Pittore.
L’AMAZZONE, ante 1933, Tarquinio Sini Pittore
SIGNORE, SI COPRA! – PREGO, SIGNORINA, SI SCOPRA!, 1928-30, Tarquinio Sini Pittore
A QUEL PAESE!
Nel 1929 Tarquinio Sini pubblica il divertentissimo romanzo illustrato (da lui, ovviamente!) A quel paese… Romanzo moderno (ad imitazione di tanti altri) per uso esterno, spietata rappresentazione di tutti i luoghi comuni sulla Sardegna. Il libro è dedicato «A Primo Sinopico e Giovanni Manca, pittori sardi che toccarono le somme vette dell’arte senza l’ausilio del folklore»; viene venduto a «Dieci lirette, per gli amici il doppio»; e si apre con un’autocaricatura di Sini in abito teuladino, in calce alla quale si legge: «Fu domandato a Tarquinio Sini: – Che cos’è l’umorismo? – e Sini rispose: – L’umorismo è l’arte di vedere le cose come sono e non come te le fanno vedere il sentimento e la passione».
Per tutta la narrazione l’autore persegue quindi questo intento, gioca a svelare l’immagine della “vera Sardegna”. Ma quale Sardegna? Quella dei banditi feroci, delle donne in costume d’orbace, degli scontri a fuoco – sempre, s’intende, al riparo di un muretto a secco o di una siepe di fichi d’India –, quella insomma che si aspettano i turisti (ieri, dunque, esattamente come oggi) e la cui immagine tanti sardi si affannano ad alimentare. Che fatica per la povera Cosette, cocotte in viaggio di svago, dover indossare il pesante costume sardo per sedurre (dopo aver amaramente digerito la scoperta che le donne sarde avevano le gonne più corte delle sue) un affascinante e selvaggio bandito, che poi – colmo della delusione – risulta essere anch’egli un turista camuffato alla ricerca di colore locale.
E che fatica per il povero maître d’hotel, impegnato, per non deludere i suoi “avventurosi” ospiti, ad impiantare finte siepi di fico d’India a contorno di finti nuraghi, o a togliere l’acqua corrente (calda, per giunta!) dalle stanze del suo albergo, a ricostruire insomma scenografiche ambientazioni da “vera Sardegna”, barbara e selvaggia.
Oggi – che ancora da tanti la Sardegna è identificata con “l’isola delle vacanze” (da sogno) per veline, calciatori, stilisti e politici o in alternativa con una terra abitata da pastori (rigorosamente trogloditi) e banditi – appare in tutta evidenza la straordinaria modernità di questo artista, lucido e intelligente a tal punto che le sue opere sono ancora portatrici di un discorso di viva e coraggiosa attualità.

TEULADA
Nel 1929 Tarquinio Sini sposa l’amatissima Ina, Teresa Tanda, celebre cantante lirica che incideva per una delle più prestigiose case discografiche dell’epoca, La voce del padrone. La coppia si trasferisce a Teulada, paese del Sulcis conosciuto attraverso i racconti di un suo “cittadino onorario”, l’amico artista Mario Mossa De Murtas. Durante questo soggiorno sostiene un doppio registro artistico. Da un lato realizza una serie di opere distanti dai modi ironici a lui consueti, quasi dei saggi pittorici a dimostrazione di quanto ripetutamente dichiarato: «Anche io potrei, volendo, da oggi a domani, fare l’arte pura». I suoi soggetti sono gli uomini, ritratti nel loro costume tradizionale: anche in questo caso Sini procede per “repliche” dello stesso soggetto, per arrivare progressivamente ad una efficace semplificazione formale e coloristica a favore del netto contrasto tra neri profondi e bianchi abbacinanti. Dall’altro non rinuncia comunque alla sua verve ironica, ed ecco allora La straniera e La caccia alla volpe, veri Contrasti in ambiente sulcitano, nei quali ai rudi barbaricini si sostituiscono gli spagnoleggianti teuladini dall’inconfondibile cappello a larghe falde e alto colletto ricamato, personaggi che continuerà a raffigurare anche quando lascerà il piccolo centro.
Nelle opere di questo periodo è particolarmente accentuato il dato caricaturale: Idillio a Teulada e Donne di Teulada con brocche a tutti gli effetti sembrano una parodia dell’abusato soggetto – da parte degli artisti sardi, che lo ritenevano indispensabile per il loro pedigree – delle sarde canefore di statuaria bellezza nei costumi colorati; nella tempera La pipa della festa esaspera ancor più i toni, accoppiando una terribile virago baffuta (quasi una drag queen ante litteram) ad un virilissimo e assolutamente noncurante esemplare di “maschio sardo” intento ad accendersi la pipa con tranquilla e posata gestualità.
La pace idillica del piccolo borgo non era però la condizione ideale per lo stracittadino Sini che, stimolato dalla possibilità di nuove esperienze, si trasferisce a Milano.

17 FEBBRAIO 1943
Il 17 febbraio 1943 i bombardieri americani fecero la loro comparsa nel cielo di Cagliari; sganciarono sulla città una pioggia di bombe che al contatto con il suolo si frantumavano in micidiali schegge. Il giorno morirono oltre cinquanta persone, centinaia furono i feriti: e fu solo l’inizio della tragedia che distrusse Cagliari.
«Nella via Sant’Efisio, avveniva un macello all’imbocco di un rifugio, verso il quale accorreva una folla di persone spiritate per le vicine detonazioni. Tarquinio Sini fu colto in quei pressi, quasi al limitare della sua casa, da un impeto di frammenti dirompenti … Della carneficina si apprese ben presto e il nome di Tarquinio, il più noto ed amato dei caduti, correva di bocca in bocca ».
Con queste parole l’avvocato Guido Scano scrive sui giornali della scomparsa dell’amico, restituendo il senso di sgomento e dolore che in quei giorni governava la città.
Nei bombardamenti successivi la totale distruzione dello studio dell’artista, situato in piazza del Carmine, causò la perdita del suo archivio e di tutte le opere.

Tarquinio Sini Pittore, di origini sassaresi
Tarquinio Sini Pittore, di origini sassaresi
Cagliari 1943. La zona tra la chiesadi Sant Anna, il corso Vittorio Emanuele II e piazza Yenne distrutta.
Cagliari 1943. La zona tra la chiesa di Sant Anna, il corso Vittorio Emanuele II e piazza Yenne distrutta.
Tarquinio Sini in abito teuladino, 1936
Tarquinio Sini in abito teuladino, 1936
Tarquinio Sini e la moglie Ina Tanda in una foto
Tarquinio Sini e la moglie Ina Tanda in una foto
 

Web Master: Adriano Agri - Sassari Servizi Internet
Copyright: © Le Vie della Sardegna Tutti i diritti Riservati

leviedellasardegna.eu
Leggi le nostre Policies su Privacy e Coockies
Copyright 2016. All rights reserved.
Torna ai contenuti | Torna al menu