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Biasi non è soltanto il pittore che ha “scoperto” la Sardegna popolare: è anche il primo pittore moderno in un’isola che non possedeva tradizioni artistiche recenti, dove non esistevano accademie o scuole d’arte, e nella quale (a parte i rari artisti “continentali” di passaggio, venuti a decorare qualche edificio pubblico, come Giuseppe Sciuti a Sassari o Guglielmo Bilancioni e Domenico Bruschi a Cagliari) avevano diritto di cittadinanza solo gli scultori cimiteriali e i decoratori d’interni. A lui spetta dunque il compito di “legittimare” il ruolo sociale dell’artista, di farlo accettare da una classe dirigente che considerava con diffidenza o disprezzo il mestiere di pittore. Giuseppe Biasi, nato nel 1885 in una famiglia della borghesia intellettuale sassarese che lo destinava per tradizione alla carriera avvocatizia, mette da parte la laurea in Giurisprudenza per dedicarsi all’arte; un gesto che verrà imitato da altri pittori sardi della sua generazione, come Filippo Figari o Mario Mossa De Murtas. In campo artistico è un autodidatta, ma questo finisce per rivelarsi un vantaggio: la sua formazione si compie sulle riviste illustrate e sulla cartellonistica pubblicitaria, che nell’Italia a cavallo del secolo costituiscono le forme d’arte più avanzate. Con il loro stile semplice ed essenziale, fatto per catturare l’attenzione del passante frettoloso, i manifesti che tappezzano le vie delle città sono molto più moderni della pittura pretenziosa e magniloquente, ingombra di allegorie classiche, che s’insegna nelle accademie; con le loro tinte piatte e i contorni decisi, le copertine e le illustrazioni delle riviste, pensate per fermare l’occhio del lettore distratto, sono più efficaci dei quadri. È proprio nella grafica pubblicitaria ed editoriale che si cominciano a sperimentare in questo momento alcune delle strategie più tardi impiegate dai protagonisti delle avanguardie espressioniste, cubiste e futuriste: la stilizzazione bidimensionale, la radicale semplificazione dell’immagine, la deformazione espressiva. Biasi apprende velocemente questo linguaggio, come dimostrano le caricature con cui debutta, verso il 1902, sui giornali goliardici della sua città.
Ma è nel 1905, durante un soggiorno di alcuni mesi a Roma, che l’artista appena ventenne fa il suo esordio nazionale come illustratore. Il poeta sassarese Salvator Ruju (che, anima di un vivace gruppo di intellettuali sardi trasferitisi a Roma, si era da poco rivelato al pubblico della Capitale con il suo Canto d’Ichnusa) lo introduce nella redazione dell’Avanti della Domenica, rivista molto aperta all’arte e alla quale collaborano diversi tra gli artisti più vitali del momento, da Mario Sironi a Umberto Boccioni, da Duilio Cambellotti a Giacomo Balla, a Gino Severini. Impregnato di ideali repubblicani e umanitari, Biasi trova nel settimanale socialista un ambiente congeniale e vi pubblica una copertina e alcuni disegni. Alla rivista collabora anche lo scultore Giovanni Prini, nel cui salotto, luogo di ritrovo di giovani artisti e intellettuali emergenti, Biasi viene condotto sempre da Ruju, che nella sua qualità di poeta “primitivo” ne costituisce una delle colonne. Al suo primo ingresso nella scena nazionale, il pittore entra in contatto con due ambienti molto importanti per gli sviluppi dell’arte italiana, dai quali trae alcuni stimoli utili per la sua formazione: la sensibilità per la grafica, considerata come mezzo d’espressione non inferiore alla pittura e, attraverso l’esempio di Duilio Cambellotti, artista profondamente affascinato dalla campagna romana e dai suoi abitanti, una visione estetizzante del mondo popolare che influenzerà il suo modo di guardare alla tradizione sarda. Al ritorno da Roma, l’esposizione personale di caricature a colori che tiene a Sassari nell’ottobre 1905 chiude la fase iniziale della sua ricerca. Il passo successivo arriva nel 1907, quando comincia a collaborare a una raffinata rivista per bambini, Il giornalino della Domenica edito a Firenze. Il periodico diretto da Vamba (Luigi Bertelli), palestra dei migliori illustratori del momento, pubblica una smagliante serie di copertine e diverse tavole del giovane sassarese, quasi subito incentrate sul tema della vita popolare della Sardegna. Poco dopo, l’artista entra in rapporto con Grazia Deledda, della cui opera diventa in breve tempo il principale illustratore. Dal 1910, la scrittrice gli apre le porte di periodici a grande diffusione come La lettura e L’illustrazione italiana, lanciandolo definitivamente come disegnatore. Biasi capisce benissimo l’enorme potere della stampa, la sua capacità di agire sull’immaginario collettivo, e se ne serve per portare avanti il proprio progetto culturale: già da tempo ha deciso – lo dichiarava a Ruju nel 1905 – che il suo ruolo deve essere quello di “rivelatore della Sardegna”: ai sardi, ma anche all’Italia e all’Europa. Non discrimina perciò tra illustrazione e pittura, tra arte “bassa” e “alta”, “applicata” e “pura”, così come non adotta un diverso registro di espressione per i due ambiti: durante tutti gli anni Dieci, una piena continuità regna invece tra i differenti aspetti del suo lavoro. Lo stile dei dipinti con i quali – dopo un’apparizione in sordina nel 1909 alla Biennale di Venezia – si guadagna nel 1913 la notorietà in campo nazionale ha un carattere essenzialmente grafico.










