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Sagra di Sant'Efisio :: Festa dell'1 Maggio a Cagliari curiosità e tradizioni di una manifestazione religiosa e popolare Sarda di rilievo internazionale.

Cultura Sarda > Sagre, Manifestazioni Sacre e Popolari
Sagra di Sant'Efisio informazioni storiche e culturali sull'Evento folkloristico più importante del mese di maggio a Cagliari.
Sagra di Sant'Efisio

Il 1 maggio si celebra a Cagliari la sagra dedicata a Sant'Efisio, che rappresenta uno dei più importanti eventi religiosi e folkloristici della Sardegna. La manifestazione si ripete da tre secoli e mezzo per onorare il voto fatto dall'Amministrazione di Cagliari nel 1656 per ringraziare il Santo di aver liberato la città da una violenta epidemia di peste. Le celebrazioni, organizzate dalla Confraternita di Sant'Efisio con il patrocinio della municipalità cagliaritana, iniziano con la processione che accompagna il simulacro del Santo dalla sua chiesa, nel cuore del quartiere Stampace, verso il luogo del martirio, a Nora.
Il corteo viene aperto dalle caratteristiche "traccas", cioè i carri a buoi ornati con tappeti, fiori e utensili. Seguono i gruppi folk provenienti dalle otto province sarde, i cavalieri e i miliziani. Sfilano poi il terzo guardiano, l'Alternos (che in origine rappresentava il Viceré e che oggi fa le veci del Sindaco) e la Guardiania. Il cocchio dorato con la statua di Sant’Efisio è preceduto dai componenti della Confraternita in abito penitenziale. Dopo la processione cittadina il corteo si avvia verso Nora, dove arriva il giorno successivo, effettuando varie tappe, fra cui la chiesetta di Giorgino, Frutti d’oro e Villa d’Orri. Giunto a Nora il simulacro del santo rimane esposto alla devozione dei fedeli nella chiesetta sulla spiaggia, dove si celebrano numerose messe. Il 4 maggio, infine, si riprende la strada del rientro verso Cagliari.
Sagra di Sant'Efisio Cagliari 1 Maggio
La Sagra di Sant'Efisio

Dal 1657, il 1 maggio, nella città di Cagliari si svolge la sagra di sant’Efisio: uno straordinario raduno delle genti isolane attraverso il quale si adempie ad un antico voto fatto dalla Municipalità al suo santo protettore. Per comprendere il significato storico e religioso dello spettacolare evento occorre andare a ritroso nel tempo, sino al 1652, allorché in Sardegna - dopo la spaventosa invasione delle cavallette provenienti dai lidi africani - serpeggiava un morbo infido e tenace: la peste. Quella stessa descritta dal Manzoni nei Promessi sposi e che nell’Isola, come ogni cosa, era arrivata in ritardo: si dice annidata in un carico trasportato da una tartana spagnola approdata a Porto Conte, nei pressi di Alghero. Dal Nord della Sardegna il morbo si era propagato rapidamente sino alle zone più meridionali e si contavano centinaia di morti al giorno. Nel volgere di pochi anni, dal 1652 al 1656, la popolazione era stata decimata. A Cagliari la peste era giunta solo nell’ottobre del 1655 e la prima vittima illustre fu l’arcivescovo mons. Bernardo de La Cabra la cui morte venne a lungo tenuta segreta. Ma il focolaio si estese e, nell’ottobre del 1656, infuriò in proporzioni sempre più preoccupanti. Si registrarono punte giornaliere di duecento morti2. Ai cagliaritani, non essendosi rivelato sufficiente l’intervento dei luminari della scienza, non restava che rivolgersi al Cielo. La richiesta di protezione si rivolse a sant’Efisio cui, fin dalle prime notizie del diffondersi del morbo in Sardegna, si erano elevate preghiere ed il cui simulacro era stato esposto in Cattedrale. Il voto risale all’11 luglio del 1652 allorchè la città non aveva ancora risentito della peste che invece divampava in diversi centri dell’Isola: insomma, meglio prevenire che curare. Cagliari venne dichiarata “infetta” solo il 6 marzo del 1656. Con sant’Efisio la città doveva avere un ottimo rapporto ove si consideri che, già nel 1548, l’Amministrazione civica si riconobbe sua debitrice attraverso l’istituzione di un censo per la celebrazione di messe nella chiesa di Stampace: la stessa da cui tuttora prende avvio la processione. E tutto ciò accadeva nonostante Efisio non fosse uno dei santi più “accreditati” dalla Chiesa tant’è che più d’uno aveva dubitato persino della sua storicità. Altri si erano affannati alla ricerca delle “prove”. Tutto inutile posto che nessuna prova é necessaria a chi crede e qualsiasi prova non sarebbe sufficiente per chi non crede. Dunque, prendere o lasciare. Del resto il tramandarsi della fama di un santo e della devozione popolare, che ne alimentano e rafforzano il ricordo nei secoli, non garantiscono di per sé né la certezza della sua esistenza storica, né l’antichità del culto. Che la tradizione si fondi su verità o leggenda poco importa: ciò che conta é che abbia avuto la forza di arrivare sino a noi, attraverso i secoli, da quando per la prima volta il simulacro del santo-guerriero (che alla spada e alla corazza accompagna la palma del martirio) si trovò circondato da genti appositamente venute da ogni contrada dell’Isola a ringraziare e pregare: era il 1657.

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Secondo la tradizione Efisio era originario di Elia, città della Siria. Giovane ufficiale dell’esercito romano, dopo aver fatto una brillante carriera alla corte di Diocleziano, viene inviato in missione nell’Italia meridionale e poi in Sardegna; si converte alla religione cristiana, viene arrestato e - poichè non abiura la nuova fede - viene incarcerato in una cavità profonda sita nel quartiere di Stampace e poi martirizzato nei pressi di Nora. Tutto ciò si sarebbe verificato nel gennaio dell’anno 303. Di una chiesa sita in Nora intitolata a sant’Efisio si ha la certezza nel 1089 allorchè Costantino, giudice di Cagliari, ne fece donazione ai monaci dell’abbazia di San Vittore di Marsiglia. Ma già l’anno precedente i pisani avevano portato via dalla chiesa le reliquie di sant’Efisio assieme a quelle di san Potito: circostanza che comprova l’esistenza, intorno al santo, di un culto di una certa rilevanza. Si aggiunga che nella relazione del viaggio compiuto in Sardegna dall’arcivescovo di Pisa Federico Visconti - risalente al 1263 - si parla di sant’Efisio e che lo stesso è raffigurato nei preziosi affreschi realizzati nel 1391 da Spinello Aretino nel camposanto monumentale di Pisa. Tutto ciò aiuta a comprendere perchè i cagliaritani, terrorizzati dal possibile propagarsi della peste, si rivolsero proprio ad Efisio. All’apice della paura e della sofferenza il Magistrato civico fece voto che, se la peste fosse cessata, sarebbe stata organizzata una solenne processione nella quale il simulacro del santo avrebbe ripercorso il tragitto dallo stesso compiuto, dal “carcere” (posto sotto la chiesetta di Stampace) sino al luogo del martirio (la spiaggia di Nora) e viceversa. E poiché la peste allentò la sua micidiale morsa sino a sparire del tutto, nel maggio del 1657, il voto venne adempiuto e da allora si ripete con immutata devozione al calendimaggio. Solo nel 1917, per decisione dell’autorità di pubblica sicurezza, la sagra non potè svolgersi. L’anno successivo a trainare il cocchio non furono i buoi inghirlandati ma i reduci della prima guerra mondiale riconoscenti per la protezione avuta da Efisio. Nel 1794 invece la sagra venne differita a giugno per paura che gli animi ancora eccitati (alla fine del mese di aprile vi era stata la cacciata dei piemontesi) potessero provocare disordini. Nel 1907, allorchè l’inondazione aveva ingoiato i ponti della Scaffa, la processione dovette compiere il suo tragitto lungo le rive della laguna di Santa Gilla. Anche nel 1943 la città, semidistrutta dai bombardamenti aerei e disabitata, non rinunciò allo scioglimento del voto e un pugno di fedelissimi - omesso ogni fasto - portò ugualmente il santo a Nora su un camioncino. Il mezzo attraversò una città deserta dove il silenzio spettrale si confondeva con l’odore acre della distruzione e della morte. Nel cassone, fissata da mani devote, la statua del santo col manto di damasco rosso e la corona. A seguire uno sparuto gruppo di fedeli che, anche in quel tragico momento, non volle rinunziare a chiedere l’intercessione di Efisio in favore della città tenendo fede, al tempo stesso, ad un giuramento (allora) vecchio di quasi tre secoli. Di particolare interesse - anche dal punto di vista demopsicologico - è il rapporto tra la città di Cagliari e il “suo” santo. La città ama intensamente Efisio, lo reputa l’espressione più nobile della propria storia sociale e religiosa. Il culto - che da secoli gli dedica ed investe tutti gli strati sociali - è antico ma, al tempo stesso, sempre nuovo per le vive espressioni scaturenti dalla genuinità dell’animo popolare. Il santo peraltro, assai singolarmente, non è considerato un essere soprannaturale ma è strettamente legato alla comunità ed ai suoi problemi; dialoga con la città attraverso un rapporto diretto, per i cagliaritani veraci è semplicemente “Efisio” o addirittura Efixeddu. Ai fini di una migliore comprensione del valore della sagra, occorre anche considerare che - intorno alla figura di sant’Efisio - a partire dalla seconda metà del XVII secolo é fiorita in tutta la Sardegna, ed a Cagliari in particolare, una vasta produzione di letteratura popolare. Al riguardo conservano una notevole importanza is goccius, versi in onore di santi cantati in particolari occasioni religiose. Tali composizioni, a prescindere dal loro valore letterario, hanno il merito di aver tramandato attraverso i secoli la memoria e i prodigi di molti santi, consentendo così che un grande patrimonio storico, culturale e ideale non andasse disperso. Is goccius efisiani - giunti a noi soltanto in lingua sarda - tramandano le vicissitudini del santo e della sua esistenza terrena e danno vita ad una sorta di sacra rappresentazione. La tradizione popolare attribuisce a Sant’Efisio numerosi interventi prodigiosi. Nel 1721 - allorchè si sparse la voce che alcuni partigiani della Spagna (la Sardegna era appena passata ai Savoia) avevano intenzione di avvelenare pozzi e cisterne - il santo apparve al vicerè, barone Pallavicino di Saint Remy, al quale presagì il grave pericolo che fu pertanto evitato. Nel febbraio del 1793, quando la flotta francese comandata dall’ammiraglio Truguet bombardava Cagliari, Efisio favorì la sconfitta degli invasori sollevando una tempesta in mare.

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Allora la Municipalità pronunciò un altro voto che si tuttora compie con la processione del Lunedì di Pasqua. In tale giorno, al termine di una suggestiva processione che parte di buon mattino dalla chiesetta di Stampace, il simulacro del santo viene collocato nel mezzo del Duomo fra quattro ceri. Dell’assedio del 1793 restano ricordi nella memoria cittadina e nella stessa chiesa stampacina di sant’Efisio ove una lapide così ricorda l’evento: “Gallici furoris specimina adversus Calarim, divanae opis monumenta Sancto Efisio tutelari sacra”. Oggi la sagra di maggio è la più grandiosa e genuina manifestazione di fede e folklore alla quale sia possibile assistere non solo in Sardegna ma probabilmente in tutta Italia. Il calendimaggio cagliaritano, tra l’altro, vede la singolare confluenza dei riti pagani, propiziatori della primavera, e del tributo di fede a sant’Efisio, il potente patrono della Sardegna. In questa terra simbologie, ritualità e credenze cristiane si fondono con elementi culturali e materiali del substrato pagano e magico. Spesso - nei preziosi costumi femminili - rosari, amuleti, reliquari, ex voto e talismani convivono e si confondono facendo emergere significativi elementi di continuità. Qui la gente ha una religiosità antica, carica di echi e suggestioni, una spiritualità cristiano-pagana che affonda le radici nella cultura dei vari dominatori dell’Isola: fenici, romani, vandali, bizantini, spagnoli. Ogni popolo che é sbarcato in questa terra ha portato non solo le armi e i desideri di egemonia ma anche le proprie religioni e credenze. Nella sagra tutto è ancora autentico e di singolare bellezza. La processione - che costituisce la parte più importante dell’evento - è il risultato di tre secoli e mezzo di tradizione ed esprime la creatività e la spiritualità del popolo sardo. Il lungo corteo é aperto dai festosi carri addobbati, is traccas, che costituiscono uno degli elementi caratterizzanti la festa: carri a buoi (alcuni a ruota piena) usati fino a circa quarant’anni fa per i lavori agricoli e come mezzo di trasporto. Provengono da diversi centri del Campidano di Cagliari di cui testimoniano la cultura e l’economia tradizionale. Per la festa sfilano addobbate con coperte tessute a mano, tappeti, fiori, prodotti della terra, utensili della civiltà contadina. Is traccas, ultimo relitto di un’umanità nomade, costituiscono una sorta di “museo vivente” delle tradizioni agro-pastorali della Sardegna. Segue la lunga sfilata dei gruppi in costume e infine dei cavalieri che fanno da scorta al simulacro del santo. Le migliaia di costumi che partecipano permettono di abbracciare, in una spettacolare sequenza cromatica, l’intero folklore sardo del vestiario. Quello maschile presenta una certa uniformità e risale ad epoche assai antiche (qualche elemento riporta addirittura alla preistoria della Sardegna); quello femminile é più vario, diverso da zona a zona e talvolta evidenzia persino delle differenze a seconda dell’età e della condizione sociale della persona che lo indossa. I preziosi gioielli, che ornano i costumi femminili e in maniera più sobria quelli maschili, hanno origini varie. Gli ornamenti più antichi e di tradizione locale sono in prevalenza d’argento. La massiccia partecipazione dei gruppi, provenienti da tutte le contrade della Sardegna, evidenzia la profonda devozione delle genti isolaneal martire patrono e dà vita ad una sequenza irripetibile di colori che conferisce alla processione una valenza etnica e culturale senza confronti in ambito mediterraneo. L’etnografo Francesco Alziator così vedeva la sagra: “Il gioco delle gonne, dei corsetti e degli scialli sa di melograno aperto. Tutta la storia dell’Isola é lì, nelle cuffiette arancioni delle prioresse di Desulo, nei corpetti, ricchi d’oro, delle donne di Quartu S. Elena, nello scarlatto nuziale delle gonne, nei piedi scalzi dei pescatori di Cabras o ancora nella fiera eleganza delle ragazze di Tempio, nel loro abito nero con soggolo in pizzo bianco”.

Cagliari Sagra di Sant'Efisio sfilata folkloristica e religiosa che si rinnova ogni primo maggio nella città di Cagliari.

La processione a cavallo, che precede il santo, costituisce la parte più antica e suggestiva della sagra: è aperta dai cavalieri del Campidano. I cavalli hanno finimenti delicatamente ornati con ghirlande e fiori multicolori e sfilano dalla solenne edizione del 1886, anno in cui le reliquie di sant’Efisio (e non solo le ceneri come era avvenuto nel Seicento) tornarono da Pisa in un tripudio di folla. Seguono, fieri e stupendi nelle uniformi scarlatte, gli squadroni dei miliziani armati di archibugio e sciabola. All’interno della sagra il loro compito era tutt’altro che coreografico. Infatti dovevano scortare il santo fino al suo arrivo a Nora e difendere i numerosi pellegrini al suo seguito dai non infrequenti attacchi di predoni e persino di pirati. Ancora oggi i miliziani indossano la loro divisa seicentesca col copricapo in panno rosso a forma di cilindro, corpetto analogo con alamari neri e bottoni dorati, gonnellino nero, calzoni e gambali. La successiva scorta, formata da uomini in frac, ricorda i rappresentanti della Municipalità che pronunciò il voto istitutivo della processione. Ad essi segue l’Alter-Nos che portava sul petto il toson d’oro: onorificenza concessa alla città di Cagliari nel 1679 da Carlo II re di Spagna. Dopo il passaggio della Sardegna dalla Spagna ai Savoia, il toson d’oro venne sostituito con una medaglia nella quale sono incisi l’effigie di Vittorio Amedeo II e lo stemma sabaudo. In origine l’Alter-Nos rappresentava il viceré; quindi dal 1848, allorché (a seguito della “fusione perfetta” con gli Stati di terraferma) venne abolito il vicereame, rappresenta il Sindaco. E’ il garante del perpetuarsi del voto fatto dalla Municipalità al santo nel lontano 1652. Sfila scortato da due mazzieri in livrea seicentesca e partecipa a tutte le manifestazioni in cui si articola la festa dal 1 maggio fino alla serata del 4 allorché il cocchio col santo fa rientro nella chiesetta di Stampace. L’Alter-Nos è scortato dai confratelli della Guardiania, corpo scelto dell’Arciconfraternita del Gonfalone sotto l’invocazione di Sant’Efisio martire. Elegantissimi ed impeccabili nel loro frac nero, con cilindro e fascia azzurra ai fianchi, hanno il compito di accompagnare, a cavallo, il santo nei giorni del pellegrinaggio. Tra loro spicca il Terzo guardiano, una sorta di cerimoniere della sagra. E’ lui che alla vigilia della festa, nella chiesetta di Stampace, al termine della messa solenne che si celebra la mattina del 30 aprile, colloca dentro il cocchio la statua del santo. Durante la processione sfila con la bandiera dell’Arciconfraternita. Attualmente fanno parte dell’Arciconfraternita del Gonfalone circa centocinquanta soci. Il primo maggio i confratelli sfilano in abito penitenziale, mozzetta bianca e saio azzurro su cui spicca il grande rosario bianco; le consorelle partecipano alla processione in nero, col velo in testa e il grande rosario bianco ai fianchi. Seguono i suonatori di launeddas, le rappresentanze delle Forze Armate e la popolazione tutta. Il primo maggio, a mezzogiorno in punto, al suono delle campane e sotto un’incessante pioggia di petali che vengono gettati dai balconi, l’elegante cocchio seicentesco ove é collocato il santo lascia la sua chiesetta di Stampace e inizia il percorso che, fra due ali di folla, lo porterà verso Nora, luogo del martirio. Fonte di notevole carica emotiva é il passaggio del simulacro del santo nella via Roma, davanti al Palazzo Civico, trasformata da sa ramadura in un tappeto di petali di ogni colore. Mentre urlano le sirene delle navi in porto, la musica delle launeddas si fa sempre più penetrante. E’ dietro quel giogo di buoi rossi, massiccio e imponente, Efisio viene quasi inghiottito da una marea di gente che chiede, almeno per un attimo, di poterlo toccare, di gettare ai suoi piedi una richiesta di grazia, di offrire un prezioso gioiello di famiglia. E’ l’apoteosi. Ma il vero significato della festa non si esaurisce nelle vie di Cagliari. Occorre recarsi a Giorgino, nella chiesetta campestre dedicata a sant’Efisio, ove si effettua la prima sosta per il cambio del cocchio e delle vesti che verranno custoditi, fino al suo rientro, dalla famiglia Ballero. Qui - ai colori della fantasia, ai canti ed allo scintillio dei costumi - si sostituiscono i piedi scalzi delle anonime donne, che hanno fatto voto per le più segrete angoscie, le lacrime dei vecchi artigiani stampacini e dei pescatori della Marina che, spinti da profonde riconoscenze, pregano in silenzio.
Dopo la sosta nella chiesetta di Giorgino, la processione riprende col cocchio di campagna e la statua del santo priva di tutti i paludamenti preziosi: la ragione storica di tale “cambio” si giustifica col timore che, durante il percorso, il simulacro ed il cocchio potessero essere assaliti dai predoni che frequentavano la fascia costiera. Quindi la processione fa tappa in località Su Loi (Capoterra) e a Villa d’Orri ove - nella cappella della famiglia Manca di Villahermosa - viene impartita la benedizione eucaristica col bacio della reliquia. La notte, dopo aver percorso le strade addobbate a festa, il corteo giunge a Sarroch ove il simulacro del santo é ospitato nella casa Cossu-Tiddia. Intanto nella parrocchia si celebra una messa solenne. Il 2 maggio, secondo giorno della festa, prima tappa a Villa San Pietro: le strade del paese, per la gloria del santo, sono trasformate in un tappeto di fiori. A mezzogiorno il tradizionale arrivo a Pula ove si svolge una sagra in miniatura. Nella serata la processione giunge a Nora, luogo del martirio. Il 3 maggio é ancora apoteosi: durante la mattina vengono celebrate numerose messe; poi a cura del Terzo guardiano e dell’Alter-Nos si procede alla consegna delle elemosine ed all’offerta del pranzo ai poveri convenuti; nel pomeriggio processione a mare e, in tarda serata, rientro verso Pula. Il 4 maggio si ripercorre in senso inverso il medesimo itinerario: stesse soste fino alla chiesetta di Giorgino. Qui il santo riprende gli abiti preziosi con i quali fa trionfante rientro a Cagliari ove, nella piazzetta antistante la chiesa di Stampace, lo attendono migliaia di fedeli. La sagra, dopo quattro giorni, si conclude con la solenne benedizione: Efisio é nuovamente tutto dei cagliaritani. E i confratelli e le consorelle già pensano alla prossima edizione, affinché il voto si rinnovi con immutata fede. Francesco Alziator, uno dei massimi interpreti delle tradizioni cagliaritane e della Sardegna, ritiene la sagra di sant’Efisio il “più grande convegno folklorico del Mediterraneo”. E in effetti la processione non ha eguali per numero di partecipanti, durata e villaggi coinvolti. Negli ultimi anni oltre cinquemila persone in costume, provenienti da quasi cento comuni dell’Isola, partecipano all’evento che costituisce un’occasione religiosa e folkloristica di straordinaria intensità e partecipazione: un incredibile miscuglio di secoli e di genti che racchiude in sè l’identità etnostorica del popolo sardo. La Sardegna è una terra in cui gli antichi culti non scompaiono ma subiscono processi di graduale adattamento che confermano la continuità delle pratiche religiose e delle credenze presenti tra le popolazioni. Stessa continuità é dato reperire nella vasta produzione artigianale: quei medesimi motivi ornamentali geometrici presenti nelle ceramiche che vanno dal VI millennio a.C. fino alla colonizzazione romana li ritroviamo ancora oggi non solo nei vasi di Assemini e di Oristano ma anche nei tappeti di Mogoro, di Samugheo, di Uras, di Nule, di Isili e di tanti altri centri dell’Isola; e ancora li ritroviamo nelle cassapanche lavorate a Desulo, Tonara e Aritzo: produzioni artigianali che fanno parte integrante della sagra di sant’Efisio, dando alla stessa anche un peculiare valore etnografico. L’artigianato sardo, nelle sue espressioni autentiche, riflette l’indole delle popolazioni, l’ambiente naturale e le vicende storico-culturali che si sono svolte in questa terra d’antica civiltà. I sardi, pur accogliendo i nuovi impulsi, sono conservatori. Per tale ragione le tecniche di produzione e gli stili dei manufatti sono rimasti sostanzialmente fedeli alla tradizione e, ancora oggi, rivelano una straordinaria ricchezza di fantasia che si esprime in oggetti di rara bellezza e originalità. La Sardegna é terra di lunghe persistenze: nei prodotti dell’artigianato racchiude i segni di una civiltà millenaria ed esprime, con grande naturalezza, linguaggi fatti di forme e colori.


Testi di
Angioni Antonello

 Lula chiesa di San Francesco Sagra del primo maggio.
San Francesco di Lula

Si svolge sempre il 1 maggio a Lula, nel santuario dedicato a San Francesco, una delle sagre campestri più caratteristiche dell'intera Sardegna. Lula dista circa 33 km da Nuoro ed ospita nel suo territorio la chiesa, sita a 2 km dal paese. Il santuario campestre si trova a 466 metri s.l.m., sul costone collinare dominato dal Monte Albo.
La chiesa si presenta, nelle forme attuali, come il risultato delle ristrutturazioni e degli ampliamenti effettuati nel 1795 sulle strutture originarie risalenti, forse, al XVI secolo. All'interno è custodita una statua lignea di San Francesco, di scuola napoletana del '600.
Le "cumbessìas", cioè i piccoli edifici costruiti per ospitare i novenanti e i pellegrini, sono in buona parte moderne. La festa è caratterizzata da usanze del tutto particolari. Ai fedeli presenti durante la novena, vengono offerti "su filindeu" (minestra cotta nel brodo di pecora e condita con formaggio) e "su zurrette" (sanguinaccio). Si svolgono, inoltre, vari riti quali "sa bertula" (cioè "la bisaccia", si tratta di un voto in cui si offre uno scambio con il Santo, in una tasca della bisaccia si pone il bambino malato, nell’altra si mettono le offerte, raccolte di casa in casa con la questua) e "sa pesada" (cioè "la pesata", pesando il bambino malato lo si riscatta offrendo al Santo un egual peso di carne d’agnello o di vitello). Le celebrazioni si concludono con "s'arbore" (l'albero), grande pranzo all’aperto in campagna, al quale viene fatta partecipare, simbolicamente, anche una piccola statua del Santo.
 

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