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Descrizione Le mura di Sassari si conservano oggi solo in minima parte, ma evocano ugualmente il passato medioevale della città, contraddistinto da una forte spinta autonomistica, culminata nell'elevazione a libero Comune, unico esempio in Sardegna di affermazione di quella classe mercantile che altrove in Italia diede vita a forme significative di governo locale. La cerchia originaria risale ad anni anteriori al 1278, quando secondo la tradizione cinque villaggi, che facevano capo alle parrocchiali del centro storico, furono accorpati per dar vita a un unico centro urbano, raccolto attorno alla chiesa di San Nicola, che nel 1441 divenne cattedrale della diocesi turritana, ereditando l'antico ruolo della basilica di San Gavino. Le mura furono certamente potenziate attorno al 1236, quando Sassari si diede gli Statuti comunali, dai quali risulta che i cittadini erano tenuti a pagare una tassa annua per la loro manutenzione e che gli stranieri dovevano pagare un pedaggio per l'ingresso in città. La cinta era costruita in pietre calcaree, aveva una forma pentagonale e una lunghezza di circa 2 km. Era composta da 35 torri a pianta quadrangolare e una circolare detta Turondola. Le torri erano in conci squadrati, dotate di piani in legno con la parte aperta rivolta alla città; erano merlate e avevano delle feritoie. La Turondola, a differenza delle altre, era strutturata a pilastro centrale con volte a raggiera. Le porte si aprivano in corrispondenza dei quattro punti cardinali: a N la porta di Sant'Antonio, a E la porta Macello o di Rosello, a O la porta di Utzeri, a S la porta di Capu de Villa, poi denominata porta Castello. Nel 1616 venne aperta una porta a lato dell'Università su richiesta dei Gesuiti, detta porta Nuova, affinché gli studenti potessero accedere al collegio dalle campagne. La costante cura della cinta muraria nel Trecento, con l'imposizione di dazi per le fortificazioni, e gli interventi per tutto il corso del Cinquecento non sono bastati a preservarla dal degrado. Datano dal XVI secolo le concessioni ai privati e alle congregazioni religiose, che trasformarono torri in case, con il conseguente declino e l'evidente perdita di efficacia ai fini difensivi. Nel 1694 i varchi nelle mura erano innumerevoli, come ricorda una lettera inviata dal sindaco alla corte di Madrid. Nel 1712, sotto il dominio austriaco, si operò un restauro e un altro nel 1730 sotto i Savoia. Il piano regolatore del 1837 causò l'apertura di numerosi varchi, ma fu solo nel 1844 che venne demolito il tratto presso porta Castello. Nel 1853-56 fu abbattuta la porta di Rosello, nel 1857 la porta di Utzeri. Nel 1863 si apri il portico del Carmelo. Seguirono nel 1866 la demolizione della porta di Sant'Antonio, nel 1874 quella di porta Nuova. Le fotografie ottocentesche del Delessert, mostrano ancora le porte del Rosello e di Sant'Antonio.
L’esborso, da parte della municipalità sassarese, di una forte multa da destinare alla costruzione del castello accanto alla porta di Capu di Villa, nel punto più elevato delle mura, rappresentò nel 1326 il prezzo della pacificazione fra la città ribelle e l’Aragona. L’infante Alfonso provvide a nominare quale responsabile della costruzione tale Miguel Garbi, residente a Bonaria, ma l’opera venne iniziata solo nel 1331, dopo che la nuova rivolta, scoppiata nel 1329, fu sedata col saccheggio della città, l’espulsione del ceto dirigente e mercantile locale e la confisca dei beni, assegnati in feudo o in enfiteusi a cittadini catalani. Nel gennaio 1331 Alfonso III destinò alla costruzione del castello la metà del prodotto dei bandi e delle machizie, spettanti al veguer e al bailo di Sassari, incaricando dell’opera il veguer Raimondo di Montpaò, il bailo e i probiuomini sassaresi. Il castello doveva costituire un forte presidio strategico nel nord Sardegna e garantire il controllo della città, focolaio di rivolte antiaragonesi. G. F. Fara (1590) lo dà edificato entro il 1342 e ne fornisce una precisa descrizione che, assieme a quella fatta dal notaio Carbonieddo nel 1591 (epoca in cui vi era insediato il tribunale dell’Inquisizione), al memoriale del visitatore Pedro de Hoyo, del 1596, e alle poche immagini rimaste, consente di restituire i caratteri dell’edificio, demolito fra il 1877 e il 1880 a seguito della decisione assunta nel 1869 dalla municipalità. Lavori di riparazione alla fortezza sono documentati nel XV e XVI secolo; le sue mura vennero rafforzate nel 1503, con la creazione di un bastione a volta nella parte esterna e di un fossato con ponte levatoio verso la città, progettati da Antonio Ponzio. Si tratta, forse, delle fortificazioni venute di recente alla luce. Nel 1555 fu creato il baluardo fra il castello e la porta di Rosello mentre rimase inattuato, forse per mancanza di fondi , il progetto che prevedeva il rifacimento della cinta muraria della città e la creazione di baluardi, torri e speroni, lasciando integro il castello, predisposto nel 1556 da Rocco Capellino e illustrato da due piante custodite presso la Biblioteca Vaticana. Come si evince anche dal disegno del Costa, il castello aveva forma quadrangolare con quattro torri quadrate agli angoli e una quinta in cui era la porta di accesso dalla città. Sulla facciata della torre centrale – che, a tramontana, aveva murati gli stemmi del viceré Cervellon e del veguer Montpaò, assieme ai pali di Aragona, alla torre civica e a uno scudo di ignota attribuzione – erano due decorazioni a rilievo, entro doppio riquadro e con ornati gotici. L’approvvigionamento idrico era assicurato da pozzi e da una cisterna; vi era un ampio cortile interno e lo spiazzo esterno, detto pla’ del castell, era parzialmente occupato da orti. Nel castello risiedeva l’alcayde (comandante regio) col presidio militare; dopo il trasferimento da Cagliari a Sassari, dal 1563 vi si insediò il tribunale dell’Inquisizione che adibì a carceri parte dei locali al piano terreno e al piano alto. Di quest’importante struttura difensiva oggi non restano che cinque scudi murati all’interno della caserma Lamarmora (edificata al suo posto), poche immagini acquerellate, incise o fotografiche, e il toponimo della piazza.

Bibliografia
F. Masala, Architettura dall’Unità d’Italia alla fine del ‘900, collana “Storia dell’arte in Sardegna”, Nuoro, Ilisso, 2001, sch. 61: Raffaello Oggiano, Università degli Studi, 1927 Sassari
Palazzo d’Usini
dei secoli numerosi rimaneggiamenti, il più vistoso dei quali nel secolo XVIII con l'aggiunta del terzo piano; altri interventi hanno riguardato gli interni e l'apertura di due accessi ai lati del portale; tuttavia la lettura dei caratteri originari non risulta compromessa. Il primo ordine presenta un portale affiancato simmetricamente da due identiche insegne della famiglia Manca e da due finestre nell'ammezzato. Il secondo ordine ha cinque finestre uguali. Il terzo ordine (XVIII sec.) ripete nella disposizione delle finestre il disegno del secondo. Il portale rappresenta l'elemento dominante dell'intero prospetto. Inquadrato da due semicolonne doriche scanalate su piedistallo sormontate da un doppio architrave entro cui è il fregio con l'epigrafe dedicatoria, si articola in un telaio rettangolare che riquadra un arco a tutto sesto. Sia gli elementi verticali sia quelli orizzontali sono fasciati da bugne lisce continue a ventaglio; le parti non bugnate del telaio sono ornate da punte di diamante, motivo ripetuto anche nei cassettoni quadrati della parte interna dei piedritti e dell'intradosso dell'arcata. Le finestre hanno tutte la medesima conformazione, differenziandosi quelle del mezzanino soltanto per le minori dimensioni; il davanzale e il timpano rettilineo aggettante sono entrambi modanati; gli stipiti e l'architrave sono decorati da bugne lisce e diamantate alternate, mentre all'interno ritorna il motivo della punte di diamante poco pronunciate entro cassettoni quadrati. Dal portale si accede a un grande atrio a volta spezzata, sul quale si aprono gli archi a tutto sesto con intradosso scolpito a cassettoni rettangolari degli accessi agli ambienti laterali e allo scalone che porta al secondo piano. Nella parete di fondo dell'atrio è murato lo stemma di un vescovo della famiglia Manca. Un recente restauro, oltre gli elementi rinascimentali, ha portato alla luce anche quelli tardogotici, ravvisabili nei resti di due finestre con architrave traforato sulla parete del piano nobile che prospetta sul cortile interno, murate e sostituite da più tarde finestre rettangolari; nell'epigrafe a caratteri gotici murata in facciata fra il secondo e il terzo piano; e nella nicchia nel secondo piano dell'edificio, nella stanza di facciata superiore all'atrio, con piccola volta a crociera con gemma e peducci scolpiti e tracce di pittura a racemi azzurri su fondo ocra negli spicchi. 



Il Castello Aragonese. 


Come arrivare Sassari è la seconda città dell'isola. Il liceo Azuni è nell'abitato. L'edificio è situato nel centro storico della città.



Come arrivare Sassari è la seconda città della Sardegna. Il palazzo delle Provincia prospetta sulla centralissima piazza d'Italia. Il palazzo fa parte della sistemazione monumentale di piazza d'Italia, la più importante della città ottocentesca. Al centro sorge il monumento con la statua marmorea di Vittorio Emanuele II.
Il palazzo si affaccia sul lato nord-est dell’ampia area quadrangolare di piazza d’Italia costituendone il solenne fondale scenografico. La struttura architettoni ca è ancor oggi l’emergenza più significativa e simbolicamente pregnante della piazza. Già nel 1872 il Consiglio provinciale aveva istituito una commissione per l’acquisto di Palazzo Ducale o, in alternativa, per il progetto di massima di un edificio che per decoro, ampiezza e comodità potesse rispondere ai bisogni della Provincia. Prevalse, non senza polemiche, la seconda ipotesi caldeggiata dal partito moderato allora al potere e osteggiata dal partito progressista che invocava una maggiore austerità nella spesa pubblica. Contemporaneamente l’amministrazione comunale, anch’essa di orientamento moderato, deliberò di cedere a titolo gratuito l’area del lato nord-est della piazza d’Italia. L’incarico fu affidato al cav.
Giovanni Borgnini, il quale pretese di essere affiancato dall’ingegner Eugenio Sironi che finì per assumere il ruolo di progetti sta e direttore dei lavori, mentre al primo spettò un ruolo di supervisione sulla fabbrica. I lavori si protrassero dal 1873 fino al 10 luglio del 1880 quando entrò in funzione l’orologio civico posto a coronamento della facciata. Tra il 1878 e il 1882 il catanese Giuseppe Sciuti decorò il salone consiliare, mentre le altre sale di rappresentanza furono affidate, tra il 1877 e il 1878, ai pittori Giovanni Dancardi e Davide Dechiffer. Esternamente l’edificio è impostato secondo stilemi dai forti accenti neorinascimentali e accademici, con un corpo centrale in lieve aggetto, scandito nei piani superiori da sei semicolonne corinzie di ordine gigante che digradano in lesene assecondando il leggero arretramento dei corpi laterali. Nell’insieme e nonostante l’adesione a stilemi accademici abbastanza standardizzati il Palazzo si colloca sia per le dimensioni sia per la funzionalità degli spazi sia, ancora, per la qualità degli interventi decorativi, fra i migliori edifici amministrativi d’Italia (V. Mossa 1986). 