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Sassari, Storia del Cimitero Monumentale :: Informazioni Storiche sui Monumenti di Sassari

Cultura Sarda > Monumenti in Sardegna
Sassari, Cattedrale di San Nicola, 1854.
Sassari, Cattedrale di San Nicola, 1854.
Cimitero Monumentale Sassari
Cimitero Monumentale Sassari
Storia del Cimitero Monumentale di Sassari

IL 24 novembre 1278, l'Arcivescovo Togodoro, fece istituire oltre la Chiesa di San Nicola, altre quattro Parrocchie, già in quel periodo i morti delle famiglie benestanti venivano seppelliti nelle chiese, i poveri in zone adiacenti, che erano chiamate CIMITORIO.

L'arcivescovo, ordinò di seppellire tutti morti a San Nicola, poiché come chiesa principale gli spettavano i diritti di sepoltura, d'altro canto era la chiesa di San Nicola, che non permetteva alle altre chiese di avere un loro cimiterio, creando di fatto uno stato di supremazia e controllo rispetto alle altre parrocchie.

Tutto questo per un interesse puaramente economico, poichè i diritti di sepoltura erano dei versamenti pecuniari.

Si susseguì questo stato di cose per moltissimo tempo, nonostante le imposizioni dalla Santa Sede di trovare locazioni più consone per la sepoltura dei morti, in particolar modo al di fuori della chiesa, ma fu soltanto dopo l'epidemia del 1816 che procedettero alla costruzione dei camposanti all'aperto, poichè solo a Cagliari fece 583 vittime.

I Camposanti dovevano essere lontani dall'abitato, in quanto in quel periodo a causa dei numerosi morti, fu saturato il già esiguo numero di posti disponibili sia all'interno delle chiese sia nelle immediate vicinanze.

Si procedeva a seppellire velocemente e a poca profondità, con la conseguenza che a volte i cadaveri si gonfiavano facendo esplodere letteralmente le mattonelle delle chiese, e spesso a causa del poco controllo dovuto all'enorme moria della popolazione, le persone erano seppellite ancora vive, causando episodi di rumori e colpi provenienti dall'interno delle tombe, questo creava terrore e panico nei presenti, e nascevano così parecchie leggende e credenze popolari e superstizioni sulla sepoltura dei cadaveri, una delle più conosciute era quella degli spiriti che uscivano dalle tombe. Ciononostante si continuò a seppellire dentro le chiese ancora per molto tempo.

Nel 1816 l'arcivescovo incaricò il prefetto canonico della sacristia di improvvisare un Camposanto a San Biagio, utilizzando il sito dell'antico cimitero attiguo al Decimario.

Una circolare Viceregia del 19 ottobre 1824 proibiva in modo assoluto a Vescovi e Vicari di seppellire cadaveri nelle chiese parrocchiali.

L'ingegnere capitano Dogliotti il 22 dicembre 1824 compilò un progetto del Cimitero di Sassari, proponendo l'orto di San Paolo del convento dei Frati Mercedari.

Il Governatore di Sassari nel Gennaio 1833, denunciava l'abuso invalso di seppellire i morti in chiesa, esortazione a servirsi solo delle chiese extra muros (fuori dalle mura di Sassari), sino alla costruzione del Camposanto.

Si ordinò di destinare alla sepoltura la chiesa dei Mercedari, proponendo la soppressione del convento, a seguito del dispaccio del Maggio 1833 il Governatore nominò una commissione composta da vari membri tra cui il proto medico Ingegnere Idraulico Luigi Bonomi, l'Architetto Civico Pau, i quali trovarono adatto come Camposanto, l'orto dei Mercedari, fu preferito poiché salubre, appartato e lontano dall'abitato.

Il 4 Luglio 1833 l'Ingegnere Dogliotti, comunicò al Vicerè una memoria per appaltarsi l'opera, per cui si propose che tutti i lasciti delle famiglie alla chiesa di San Paolo, per anniversari, per le messe e le feste varie, fossero dati ai due frati sassaresi che gestivano prima la chiesa dei Mercedari, i quali divennero Cappellani del Camposanto, e amministratori dei lasciti e del censimento dei morti.

A novembre il Municipio ordinava la costruzione del muro di cinta e del portone d'ingresso, più tre arcate che sarebbero servite da modello per le tombe di famiglia dei privati.

I progetti del Camposanto erano due, il primo dell'Architetto Pau, ed il secondo dell'Architetto Angelo Maria Piretto, la commissione scelse il secondo, per la semplicità e per il costo più basso.

A settembre del 1835 i Mercedari cedono l'orto di Calimaxiu al comune, a novembre 1835, si stipulava l'atto tra il Municipio e i frati Mercedari per la cessione dell'orto, il Vicerè approvò i disegni di Piretto a Dicembre dello stesso anno, la costruzione fu affidata ad aprile dell'anno successivo, il 1836, all'impresario muratore Antonio Vincenzo Virdis.


CIMITERO PROVVISIORIO
Durante i lavori del Camposanto, a Gennaio del 1835 l'Arcivescovo suggeriva un cimitero provvisorio, in un terreno vicino al convento di Santa Maria, infatti solo i preti ed i frati avevano ancora l'autorizzazione ad essere seppelliti dentro le chiese, tutti gli altri dovevano essere seppelliti all'esterno, privilegio che durò fino al 1866.

Il 13 ottobre 1836 il municipio stipulò il contratto con i becchini per il trasporto dei cadaveri, contratto maturato in seguito a notevoli disagi nel trasportare i corpi dei defunti sino al cimitero, a volte fatto con calessi e cavalli (disdegnato da tutti, sia dai poveri sia dai ricchi), a volte fatto con carri e spinto a mano, con notevoli proteste da parte dei cittadini, a causa delle emanazioni odorose e della processione dei familiari, con pianti e urla (tradizione che era stata messa al bando tanto tempo addietro ma mai lasciata dalla popolazione).

Il 15 ottobre aprì il cimitero provvisorio a Santa Maria, tra le tante persone seppellite in quell'anno di transizione all'apertura del cimitero nuovo, vi fu seppellito anche il Marchese di Monte Muros a Maggio del 1837.

Nuovo Camposanto
Il Camposanto Nuovo fu aperto il 12 luglio del 1837. Il primo defunto seppellito fu il calzolaio Pepe Giacomedda, la sua salma fu benedetta dal Decano Teologo Giovanni Ruiu.


Fonte: "Sassari Trilogia" di Enrico Costa,
Edizioni Gallizi.


Tomba Giuseppe Dessi, Cimitero Monumentale Sassari
Tomba Giuseppe Dessi
Monumento funerario Ardisson, Cimitero Monumentale Sassari
Monumento funerario Ardisson
Monumento funerario di Angelica Pietri Azzati.
Monumento funerario di Angelica Pietri Azzati.
Sassari, Cattedrale di San Nicola, 1854.
Sassari, Cattedrale di San Nicola, 1854.
Cattedrale di San Nicola, Sassari
S. Naitza, Architettura dal tardo ‘600 al Classicismo purista, collana “Storia dell’arte in Sardegna”, Nuoro, Ilisso, 1992

Situato in posizione prominente entro la cinta muraria, dell’edificio si hanno notizie a partire dal XII secolo anche se nulla è pervenuto di queste antiche strutture. Al XIII secolo risalgono invece i quattro ordini superstiti della torre campanaria di modi lombardi tradotti da maestranze toscane. A seguito della traslazione della sede vescovile da Torres a Sassari (1441) nonché dell’espansione demografica della città, tra il 1480 e il 1505 – anno di consacrazione dell’altare maggiore – la cattedrale venne riedificata secondo i canoni dell’architettura gotica di area catalana e valenzana: a navata unica con cappelle laterali e abside quadrata, all’incrocio col transetto venne coperta da una cupola emisferica su pennacchi priva di tamburo, con alla base sedici bifore di gusto catalano-aragonese. Vasti interventi di ristrutturazione furono avviati durante il XVII secolo fino ai primi decenni del successivo: nel transetto e nelle cappelle laterali si sostituirono le crociere con volte a botte; si rinforzarono i fianchi; vennero costruite la sagrestia di sinistra e l’aula dei canonici e sopraelevato il livello dell’altare principale; allo scadere del secolo venne aperta l’abside semicircolare e si intervenne sulla facciata, a causa di rilevanti cedimenti strutturali nelle ultime campate. Probabilmente l’ultima (la terza) venne abbattuta e con essa la facciata gotica. Per contrastare le spinte delle volte venne eretto, forse in due tempi, un complesso organismo porticato a tre fornici coperto da volte stellari, sormontato da un secondo ordine e dal fastigio curvilineo. Nel 1756 la torre campanaria fu sopraelevata con un corpo ottagonale con cupolino; tra il 1830 e il 1834 i piemontesi Pietro Bossi e Cesare Vacca eseguirono le pitture nella zona presbiteriale e nel transetto, in parte asportate durante i restauri del 1948-51. Il nuovo altare maggiore venne eretto nel 1690 e numerosi altri arredi plastici e pittorici arricchirono il tempio tra il XVIII e il XIX secolo. I continui interventi di ristrutturazione e ammodernamento non hanno giovato alla coerenza strutturale e stilistica dell’edificio ma lo hanno reso, comunque, un interessantissimo esempio di palinsesto architettonico in cui non mancano soluzioni estremamente originali.
Tra queste l’esuberante facciata, “pesante e di cattivo gusto” secondo il classicista Della Marmora (1868), ispirata al Barocco coloniale per altri, efficace sintesi di motivi arcaici, gotici, classici con “riscontri nell’Italia meridionale soggetta a infiltrazioni di cultura ispanica” per Maltese e Serra (1969) che hanno evidenziato anche analogie con alcune decorazioni presenti nel S. Michele di Cagliari, probabile città di provenienza di Balthasar Romero incaricato dei restauri nel 1681. Recentemente è stata segnalata la presenza nel cantiere della cattedrale di G. B. Corbellini e delle stesse maestranze lombarde che, con insolito capriccio da ebanisti e stuccatori, al principio del XVIII secolo decorarono il santuario dei Martiri di Fonni.





F. Segni Pulvirenti-A. Sari, Architettura tardogotica e d’influsso rinascimentale, collana “Storia dell’arte in Sardegna”, Nuoro, Ilisso
San Nicola (1480-1518), Sassari

Di un primo ampliamento della chiesa cattedrale, intitolata a S. Nicola, avvenuto attorno al 1434 e reso indispensabile dal trasferimento della cattedra episcopale da Torres a Sassari, attuato nel 1441, parlano F. de Vico (1639), S. Cossu (1783) e V. Angius (1849), non G. F. Fara (1590) per il quale la chiesa venne ricostruita nel 1480 col contributo della municipalità e ornata dell’insigne cupola e delle molte cappelle visibili al suo tempo. Lo storico, in un altro passo della sua opera, colloca tale riedificazione tra i fatti memorabili del 1494 e dice che fu l’arcivescovo Pelicier a consacrare l’altare maggiore alla Vergine Maria il 7 settembre 1505. P. Tola (1861) aggiunge che, in tale data, «la chiesa fu ampliata e quasi ricostruita dalle fondamenta per opera di architetti italiani». Col 1480 si sarebbe quindi avviato il vero e proprio rifacimento dell’edificio, proseguito, con diverse interruzioni causate dalle complesse vicende della diocesi turritana e dalla scarsità di mezzi finanziari, fino al secondo decennio del XVI secolo. Dal 1497 compare la nuova intitolazione della chiesa a S. Maria del Popolo, costante negli atti capitolari fino alla metà del XVI secolo. Del completamento della chiesa si parla esplicitamente in atti capitolari del 1502, 1503 e 1505.
Segno della ripresa dei lavori il fatto che nessuna ordinazione si celebrò in cattedrale dal 1506 fino a quella solenne del 3 aprile 1518, per conto dell’arcivescovo Giovanni Sanna nell’altare maggiore dedicato a Nostra Signora del Popolo. Oltre al contributo della municipalità, attestato dalla presenza della torre civica in due mensole, rispettivamente della navata e dell’abside, ma di cui non resta traccia documentaria, parte delle risorse vennero probabilmente ricavate dalla sede vacante (più volte dal 1508 al 1515), retta fino al 1517 dai vicari Antonio Cano e Andrea del Cardo, saltuariamente dall’arcivescovo Giovanni Sanna cui succedette, nel 1524 l’arcivescovo Salvatore Alepus che resse la diocesi fino al 1566. La chiesa cattedrale, ricostruita nelle sobrie forme di un Gotico catalano che accoglie l’eredità della tradizione locale ma anche le novità rinascimentali, venne dunque ultimata nel periodo in cui si succedettero, senza insediarsi, i due vescovi italiani Angelo Leonino e Francesco Minerbetti de’ Medici e durante il vicariato dell’italiano canonico del Cardo. V. Angius (1849) testimonia che lavori di riparazione della cupola e delle volte vennero effettuati dal 1531 al 1542 e di opere interpretabili come rinforzo alle strutture si parla in documenti capitolari e municipali del 1549. Il nuovo edificio era a navata unica, originariamente divisa in tre campate trapezoidali voltate a crociera, la prima demolita nel 1681 per gravi problemi statici, più una campata quadrata cupolata all’incrocio col transetto, elemento assente nelle coeve chiese catalane ma presente localmente nella S. Maria di Betlem e nelle cattedrali di Cagliari e Oristano, dalla comune origine cistercense, e abside quadrata. Ai lati, fra i contrafforti, si aprivano due cappelle per campata, come nelle chiese catalane di Cardona e Balaguer o nelle cattedrali di Girona e Barcellona. Appare originale, invece, la compenetrazione fra l’organismo centralizzato, costituito dall’abside e dai due bracci del transetto, di eguale altezza e ampiezza, con la forte illuminazione che in origine proveniva oltreché dalle sedici bifore nel tamburo della cupola (alcune cieche già in origine), dal rosone sopra l’arco trionfale e dai due finestroni rinascimentali sugli archi di accesso al transetto, successivamente ridotti a lunette quindi accecati, e il corpo longitudinale della navata, nelle cui pareti sopraelevate vennero aperte finestre centinate, della stessa foggia dei finestroni del transetto ma più piccole, una volta obliterate le quattrocentesche finestre a sesto acuto. La facciata doveva essere estremamente spoglia, se consideriamo la raffigurazione contenuta in un dipinto del XVII secolo: a spioventi, con un portale centrale e un rosone in asse.
Dal lato del campanile romanico si può cogliere l’aspetto quattro-cinquecentesco dell’edificio, concepito quale esaltazione di volumi puri, la cui robustezza è accentuata dai contrafforti ornati da doccioni di due differenti tipologie: allungati e di foggia antropomorfa e zoomorfa nei due bracci originari del transetto, più tozzi, su mensola quadrangolare e di foggia mostruosa quelli sicuramente più tardi posti sui contrafforti della navata e in quello angolare creato in un secondo tempo a rinforzo della struttura cupolata, coevo ai contrafforti che spezzano la continuità degli arconi a sesto acuto nelle fiancate del tiburio, simili a quelli che figuravano fino all’Ottocento all’esterno dell’alta crociera della S. Maria di Betlem e che verranno adottati anche nel tiburio della cupola della più tarda chiesa di Gesù e Maria.
L’interno della cattedrale, pur con le modifiche tardoseicentesche che hanno comportato l’accorciamento di una navata e la trasformazione in senso classicistico degli accessi alle cappelle, conserva l’originaria suggestione nelle ampie volte a crociera dai conci regolari in file convergenti verso il centro, rette da archi nervati con ricche gemme scolpite e da semipilastri bacchettonati, come negli edifici costruiti nei primi decenni del XVI secolo nel capo del Logudoro, piuttosto che da mensoloni, del tutto inconsueti in Sardegna. Poche le ornamentazioni sopravvissute negli interni e negli esterni, legate da una stretta affinità che testimonia la concezione unitaria dell’edificio: sono ornati fitomorfi col tralcio ondulato che ingloba sferule o rosette, in mensole dell’interno ma anche su un residuo di contrafforte esterno, oppure le tipiche foglie di vite, le rosette e le punte di diamante che compaiono nelle mensole del finestrone del transetto nord. Due mensole dell’arcone della soppressa prima campata, rispettivamente con S. Antonio abate e con un drago, rinviano agli ornati di Padria (1520), a quelli del S. Giorgio di Perfugas (ante 1528) e dei demoliti trifori del S. Gavino di Porto Torres (1492). Gli stessi ornati fitomorfi della navata – ma un solo simbolo di evangelista, l’aquila, essendo stati scalpellati gli altri – compaiono nelle mensole dei pennacchi della cupola, la vera novità strutturale dell’edificio, sintesi di tecnica costruttiva catalana e di concezione rinascimentale. L’anonimo architetto del duomo poteva quindi essere un architetto militare, esperto delle tecniche costruttive catalane ma aperto alle novità italiane, se realizzò una struttura intermedia fra il “ciborio” della tradizione catalana e la cupola rinascimentale su pennacchi con bifore tardogotiche in circolo alla base della calotta come in S. Maria delle Carceri a Prato (1500) o nella bramantesca cupola di S. Maria delle Grazie a Milano.
Come arrivare
Per raggiungere la cattedrale si percorre il corso Vittorio Emanuele e, svoltando nella via Duomo, si giunge nell'irregolare piazza Duomo la cui sistemazione determina il disporsi articolato degli altri edifici.
Il contesto ambientale
Sassari, distesa sopra un tavolato calcareo dolcemente inclinato, al margine della pianura che scende verso il mare, è la seconda città della Sardegna per il numero di abitanti e per l'importanza economica, politica e culturale.
Descrizione
I continui interventi di ristrutturazione e ammodernamento che si sono susseguiti nel corso dei secoli sul duomo di San Nicola non hanno giovato alla coerenza strutturale e stilistica dell'edificio ma lo hanno reso, comunque, un pregevole esempio di palinsesto architettonico in cui non mancano soluzioni originali.
È un antico registro monastico, il "Condaghe di S. Pietro di Silki", a fornirci il primo riferimento documentario. In un atto del 1135, infatti, si parla della chiesa "Sancti Nicolai de Tathari". Nulla ci è pervenuto di queste antiche strutture, risalenti al XII secolo. Al XIII secolo appartengono i quattro ordini superstiti della torre campanaria che, nel 1756, fu sopraelevata con un corpo ottagonale concluso da un cupolino.
Tra il 1480 e il 1505 - anno di consacrazione dell'altare maggiore - la cattedrale, in seguito al trasferimento della sede vescovile da Torres a Sassari (1441) nonché dell'espansione demografica della città, viene riedificata e ampliata secondo i canoni dell'architettura gotica di area catalana e valenzana; a navata unica con cappelle laterali e abside quadrata. All'incrocio col transetto venne coperta da una cupola emisferica.
Vasti interventi di ristrutturazione - fra cui quello del 1681 affidato a Balthasar Romero - furono avviati durante il Seicento fino ai primi decenni del secolo successivo: nel transetto e nelle cappelle laterali si sostituirono le volte a crociera costolonata con le volte a botte, venne aperta l'abside semicircolare, si rinforzarono i fianchi e, soprattutto, si intervenne sulla facciata gotica che, a causa di rilevanti problemi strutturali, venne abbattuta insieme alla campata ad essa più prossima. Per contrastare le spinte delle volte venne eretto un complesso organismo porticato a tre fornici coperto da volte stellari, sormontato da un secondo ordine e da un fastigio curvilineo.
La facciata è divisa in tre ordini: il primo è costituito da un portico a tre fornici; su questo ambiente, coperto da voltine a crociera costolonata e gemmata alla maniera catalana, s'affaccia il portale d'ingresso alla chiesa, aperto nella facciata vera e propria. Il secondo ordine risulta, da un punto di vista figurativo, il più pregnante. Sui tre specchi murari si aprono tre nicchie diverse tra loro per sagoma ma tutte sopraccigliate, entro cui stanno le statue dei Santi martiri turritani Gavino, Proto e Gianuario. L'ultimo ordine è costituito dall'ampio frontone racchiuso da una larga, sagomata e ricamata cornice che ne segue l'andamento a lucerna. L'unica nicchia ospita qui il simulacro di San Nicola da Bari, patrono di Sassari. Al sommo del fastigio, a mo' di serraglia e quasi a sigillo della nuova facciata, sta la figura del Padreterno.
Nel 1690 venne eretto il nuovo altare maggiore e nel corso del XVIII e XIX secolo si aggiunsero numerosi altri arredi plastici e pittorici.
Storia degli studi
La chiesa è oggetto di sintetiche schede nei volumi della collana "Storia dell'arte in Sardegna" sull'architettura romanica (1993), tardogotica e d'influsso rinascimentale (1994), tardoseicentesca e purista (1992).  


 

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