I primi abitanti della Sardegna"Il fossile umano più antico risale a 22.000 anni fa, ma l’evoluzione della fauna e i reperti litici indicano che la prima colonizzazione è avvenuta 500.000 anni prima."
di MARIO SANGES
A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I
UNA SERIE DI STRAORDINARIE SCOPERTE riguardanti la geomorfologia, la paleontologia, la paleobotanica, la paleoantropologia e l’archeologia preistorica hanno rivoluzionato, nel corso dell’ultimo quarto di secolo, il quadro conoscitivo della Sardegna nel Quaternario. Sono stati acquisiti nuovi dati riguardanti la morfogenesi della piattaforma continentale e del massiccio Sardo-Corso ed è quindi possibile correlare le linee di riva attuali con quelle sottomarine ed estendere, fino al limite inferiore delle regressioni dei periodi glaciali, il quadro dei paesaggi che sono andati evolvendosi nelle varie condizioni climatiche. Di tali evoluzioni sono più significative quelle lungo le coste, in cui, alla fine del Pleistocene medio, tra 160 e 150 mila anni fa (tardo glaciale di Riss) e nel Pleistocene superiore, tra i 70 e i 50 mila e intorno ai 20 mila anni fa, si sono avuti momenti di massima regressione marina, con un abbassamento del livello del mare di circa 130 metri rispetto a quello attuale. Tali regressioni sono avvenute ovviamente anche nel corso delle precedenti glaciazioni, durante il Pleistocene inferiore e medio. In questi momenti regressivi quindi il Tirreno ha subito importanti modificazioni. La Sardegna e la Corsica sono unite e fronteggiano l’arcipelago toscano, a sua volta diventato un’articolata penisola. Fra le due terre si è creato un canale largo mediamente una ventina di miglia, che, ridossato dai venti dominanti di ponente, diventa un vero e proprio mare interno, godendo di lunghi periodi di calma dal moto ondoso. A Nord, fra Capo Corso e Capraia, la distanza fra le due terre si riduce a circa 5 miglia, determinando un contatto “a vista” tra le due sponde opposte. Tali condizioni paleogeografiche hanno favorito il verificarsi di una particolarissima evoluzione delle faune insulari, che sarà determinante per la colonizzazione umana delle isole nel Pleistocene medio e superiore. In situazioni geografiche così favorevoli, con brevissimi bracci di mare con sponde a vista, si verificano migrazioni di faune dalla terraferma verso le isole. La maggior parte delle specie, come ad esempio i grandi carnivori predatori, non sono adatte a tali migrazioni: solo i bravi nuotatori, a condizione che siano animali da branco, e fra questi solo gli individui più dotati, raggiungono la meta. Quando queste specie giungono in un’isola, a causa del territorio limitato e quindi della scarsità di cibo a disposizione, e soprattutto in assenza di predatori naturali, si verificano profonde e rapide modificazioni nel loro organismo: la taglia si riduce notevolmente e le zampe diventano più corte e più robuste, al fine di accedere anche ai pascoli più interni e accidentati. In Sardegna, nella prima metà del Pleistocene è ben documentata una fauna nana, denominata “Nesogorale”, in cui sono presenti una piccola antilope (Nesogoral melonii), una piccola scimmia (Macaca maiori), un piccolo maiale (Sus sondaari) e un roditore della famiglia dei lagomorfi (Prolagus sardus). Nella seconda metà del Pleistocene, in un momento di massima regressione marina, questa fauna si estingue rapidamente e viene sostituita da un’altra, denominata “Tyrrenicola”, la quale conserva inalterati i caratteri che l’hanno distinta nell’area continentale. Fanno parte di essa un piccolo topo (Tyrrenicola henseli), un cervo (Megaceros cazioti) e un piccolo canide (Cynotherium sardous). Della vecchia fauna sopravvive solo il Prolagus sardus, che svolgerà un ruolo fondamentale nella dieta dell’uomo pleistocenico isolano. La repentina estinzione della fauna nana Nesogorale dell’isola e la mancata evoluzione della nuova fauna Tyrrenicola verso forme endemiche nane insulari presuppongono il contemporaneo arrivo di un grande predatore, il quale, per il solo fatto di cacciare e nutrirsi delle due faune insulari, ha determinato l’estinzione della prima e impedito alla seconda di evolversi verso le forme nane già note. Tale predatore secondo le evidenze paleontologiche può essere stato soltanto un uomo pleistocenico, giunto nell’isola appunto intorno alla seconda metà del Pleistocene.
Al momento le evidenze più antiche di presenza umana sono state trovate
nel nord dell’Isola, in Anglona, dove le ricerche durano da oltre vent’anni
L’uomo pleistocenico sardo Negli ultimi anni le teorie che vedevano la Sardegna colonizzata dall’uomo soltanto a partire dal Neolitico Antico sono profondamente mutate. Al momento, infatti, le fasi più antiche di frequentazione umana sono state accertate nel nord dell’isola, in Anglona, in cui ricerche sistematiche che durano da oltre un ventennio hanno consentito di mettere in luce una notevole quantità di manufatti litici su selce locale riferibili al Paleolitico Inferiore. Lungo il corso del Rio Altana (a Perfugas, in provincia di Sassari) è documentato un complesso di industrie litiche su scheggia, in giacitura secondaria, attribuibile al cosiddetto Clactoniano arcaico con elementi Protolevalloisiani. Il quadro tipologico dei manufatti ha permesso un confronto con i complessi protolevalloisiani garganici in particolare, ma anche con altri in diverse aree peninsulari. Recentemente analoghe industrie sono state rinvenute in giacitura primaria in località “Sa Coa de Sa Multa” (Laerru-Sassari). La cronologia di questa particolare facies è da far risalire a un momento antico del Pleistocene medio (fasi finali del Mindel, databili intorno a 500.000 anni da oggi), in accordo con l’ipotesi, già avanzata su basi paleontologiche, dell’arrivo dell’uomo in Sardegna al momento della sostituzione faunistica “Nesogoral-Tyrrenicola”, datata alla prima parte del Pleistocene medio. A un momento più avanzato sono da riferirsi gli altri strumenti litici scoperti nella stessa regione, che si ricollegano al tipo di industrie su scheggia, privo di bifacciali, detto genericamente “clacto-tayaziano”.
Essi sono stati rinvenuti in strato su un terrazzo fluviale la cui genesi è riferita alla glaciazione rissiana, con pedogenesi e alterazione durante l’ultimo interglaciale, in località “Sa Pedrosa-Pantallinu”, sempre nei pressi di Perfugas. Uno studio analitico preliminare ha permesso di correlare tipologicamente questo complesso con altre industrie peninsulari, soprattutto con l’aspetto abruzzese di Madonna del Freddo e con alcuni complessi “tayaziani” della Francia meridionale. Resta, al momento, insoluto il problema di questa differenziazione di fasi clactoniane arcaiche ed evolute presenti nel Paleolitico Inferiore sardo. La si potrebbe spiegare con una derivazione filetica tra le due o con l’arrivo di nuovi gruppi umani dal continente. La ricerca è ancora in corso e, se opportunamente allargata ad altre aree dell’isola, potrà in futuro fornire risposte esaurienti anche su altre problematiche che emergono da questo nuovo straordinario capitolo della preistoria sarda. Al momento non si ha in Sardegna alcuna testimonianza riferibile al Paleolitico Medio, e non poche decine di migliaia di anni intercorrono tra le industrie più recenti del Nord dell’Isola e i livelli riferibili al Paleolitico Superiore, venuti alla luce nella Grotta Corbeddu di Oliena, nella valle di Lanaiddu. Secondo le evidenze paleontologiche, l’assenza dell’uomo come predatore, per un tempo così lungo, avrebbe fatto scattare il processo di riduzione della taglia anche nella fauna Tyrrenicola, che invece resta inalterata fino alla sua estinzione, alla fine del Pleistocene. Si può dedurre quindi che forse si tratta più di una lacuna nella ricerca che di effettiva assenza di popolamento umano. Al Paleolitico Superiore sono invece da riferire le tracce di insesudiamenti umani “in situ” venuti alla luce nella Grotta Corbeddu di Oliena (Nuoro) nella Sardegna centro-orientale, oggetto di scavi sistematici dal 1982 al 2000.
Osso temporale umano, dalla sala 2 della Grotta Corbeddu
Particolarmente significativa appare la situazione della sala 2 della grotta, in cui, in netta successione stratigrafica, sono presenti uno strato con fauna olocenica e con livelli riferibili al Neolitico Medio e Antico, uno strato di breccia con abbondanti resti di Prolagus sardus e un terzo strato di argilla con migliaia di resti di fauna Tyrrenicola, per la maggior parte di Megaceros cazioti. Anche la microfauna presente negli strati 2 e 3 è rappresentata da specie pleistoceniche.
Grotta Corbeddu, sala 2, veduta generale dello scavo
Dallo strato 2 della sala 2, in associazione stratigrafica con fauna Tyrrenicola, provengono un temporale e un mascellare superiore umani. La datazione radiometrica ottenuta su ossa di Prolagus raccolte nello stesso livello dei fossili craniali umani, è di 8.750 ± 140 da oggi. Questi reperti sono quindi fra i più antichi resti fossili umani rinvenuti in Sardegna. Inoltre per la prima volta l’uomo compare in associazione alla fauna endemica insulare preneolitica. Per certi caratteri la morfologia di questi fossili umani, in particolare del mascellare, sembra essere estranea alla variabilità dell’Homo sapiens in generale e dell’Homo sapiens sapiens europeo in particolare. Questa morfologia anomala può essere segno di endemismo, il risultato cioè dell’isolamento in Sardegna di un gruppo umano.
Cranio fossile di Macaca majori proveniente dal Monte Tuttavista. Pleistocene inferiore e medio.
Un sondaggio stratigrafico della potenza di sei metri è stato successivamente effettuato nella sala 2 della grotta Corbeddu nel corso di una delle ultime campagne di scavo, e ha consentito, attraverso una meticolosa successione stratigrafica sostenuta da seriazioni radiometriche ed esami pollinici per ciascun livello, di ricostruire tutte le variazioni climatiche degli ultimi 40.000 anni, e quindi le modificazioni del paesaggio con le diverse specie vegetali. In un livello datato intorno ai 22.000 anni fa è presente un frammento di falange umana: il più antico fossile umano dell’isola e dell’ambiente insulare mediterraneo.
1)Industria litica su supporti naturali di calcare locale proveniente dalla grotta Corbeddu (Paleolitico superiore)2)Veneretta in basalto proveniente dal riparo sottoroccia di S'Adde (Paleolitico superiore)
Un clima alpino La presenza di pollini di Pinus silvestris e di mirtillo (Vaccinum sp.), oggi non più presenti in Sardegna e relegati nelle zone alpine, attesta che, quando l’uomo pleistocenico era presente nell’isola, il clima era particolarmente freddo, dato che queste specie ora presenti in alta quota potevano vegetare anche a quote molto basse. Particolarmente interessante è la situazione osservata nella grotta. Le ossa di cervo appaiono in giacitura non naturale ed è evidente una loro selezione intenzionale; alcune presentano tracce di usura per una possibile utilizzazione come strumenti e sono osservabili sulle sudiamenti perfici i cosiddetti “cut-mark” e “toolmark” (segni di taglio e di strumenti) dovuti ai processi di scarnificazione e disarticolazione. Alla grande quantità di resti faunistici fa riscontro un’industria litica poco copiosa che utilizza supporti naturali di calcare marnoso locale e fa scarsissimo uso della tecnica detta del “debitage” (la produzione di schegge dalla pietra). Si tratta essenzialmente di raschiatoi e bulini, con scarso ritocco marginale, che al momento sembrano avere un aspetto indifferenziato, privo di elementi tipologici caratterizzanti, confrontabili con le coeve industrie peninsulari. Sulla base delle datazioni radiometriche dei livelli di provenienza, tutta l’industria litica nel suo insieme è inquadrabile tra 14.600 e 12.500 anni fa circa. Al momento, quindi, in accordo con i dati antropologici, paleontologici e paletnologici, l’ipotesi più attendibile è quella che vede in Sardegna in questo periodo, e fino all’avvento dei neolitici, un uomo con caratteristiche fisiche particolari, con un regime alimentare basato sulla raccolta e sulla caccia a una fauna insulare endemica, che ha prodotto probabili strumenti su osso poco specializzati, per ora non segnalati nelle coeve fasi continentali, e un’industria litica al momento non raffrontabile con i contemporanei complessi della terraferma. Resta aperto il problema della denominazione di questi complessi industriali, paleolitici e mesolitici per età, ma, almeno fino a ora, non per i caratteri tecno-tipologici, mentre i regimi economici richiedono ulteriori studi e approfondimenti. Il termine “preneolitico” adottato per le industrie coeve corse sembra per ora la migliore definizione provvisoria. È comunque fondamentale, ai fini della continuità di presenza di nuclei umani in un ambiente insulare per tutto il Paleolitico, la presenza tra le pochissime specie di mammiferi di un roditore di media taglia, quale il Prolagus sardus, estremamente prolifico e facilmente cacciabile, che ha consentito alle popolazioni della Sardegna, e forse della Corsica (in quest’isola le ricerche sono ancora in corso), una sostanziale integrazione della dieta, in termini di proteine necessarie alla sopravvivenza, a differenza delle altre isole del Mediterraneo, ma in accordo e analogia con modelli similari in altri ambienti quali gli arcipelaghi indonesiani e australiani. Alla luce di queste nuove emergenze archeologiche trova ora un corretto inquadramento cronologico e culturale il piccolo idoletto femminile in basalto, ritrovato nei primi anni ‘50 del ‘900 nel riparo sotto roccia di “S’Adde” presso Macomer, erroneamente considerato neolitico e che ora può essere definitivamente collocato nell’ambito della grande corrente delle rappresentazioni plastiche femminili che nel Paleolitico Superiore ha interessato l’intero continente europeo.
1 Mascellare inferiore di Sus sonaari, Monte Tuttavista Pleistocene inferiore e medio.2 Cranio di Nesogoral melonii, Monte Tuttavista, Pleistocene inferiore e medio.
3/4 Scheletro e ricostruzione di Prolagus sardus, Grotta Corbeddu, Pleistocene inferiore, medio e superiore.
5/6 Scheletro e ricostruzione di Megaceros cazioti, sala 2, Grotta Corbeddu, Pleistocene medio e superiore.7/8 Ricostruzione e scheletro di Cynotherium sardous, sala 2, Grotta Corbeddu, Pleistocene medio e superiore.
I Sardi del Pleistocene avevano caratteristiche fisiche particolari, vivevano
di raccolta e di caccia, disponevano di tecnologie poco specializzate
Mario Sanges, Soprintendenza per i Beni Archeologici
per le province di Sassari e Nuoro