Il Dopoguerra
Con la caduta di Benito Mussolini nuovi orizzonti si aprono alla ricerca artistica. La fronda che aveva accompagnato gli ultimi anni del Regime si trasforma in aperta opposizione alla cultura fascista, rivendicando un’arte capace di esprimere valori rimasti sinora ai margini della società italiana. Nel clima fortemente impegnato che accompagna la fine del conflitto gran parte della pittura s’immerge nella realtà. In questo contesto Manca si sente umanamente coinvolto anche se fatica ad allinearsi nelle scelte stilistiche. Politicamente e culturalmente si schiera a sinistra ma il suo approccio alla pittura resta sensibilmente diverso; l’arte-vita che lo interessa ha origini interiori e non parte mai da una osservazione diretta del reale. Tra la fine del 1944 e il ’45 le sperimentazioni espressioniste hanno arricchito il suo bagaglio tecnico: dalla linea sinuosa di Matisse è arrivato fino al segno violento di Munch. Nella prima personale romana, allestita nel giugno 1946 alla Galleria Il Cortile, però, presenta ancora in gran parte i lavori del periodo baroccheggiante. La critica sottolinea il fatto, ora con bonomia, interpretandolo come momento di riflessione foriero di sviluppi più impegnati, ora con maggiore asprezza. Solo alla fine dell’anno l’artista sembra prendere una decisione e non in senso realistico. Altera dapprima le vecchie iconografie (nature morte; figure dei Tarocchi) deformando il segno mediante cromie violente, poi comincia una rilettura della scomposizione spaziale cubista. La sintesi di Cubismo ed Espressionismo si rivela particolarmente felice per Manca, perché gli permette di far interagire la dimensione lirica con quella costruttiva, conciliando due aspetti essenziali dell’esperienza moderna come pure il contrasto latente fra la vocazione simbolica della sua pittura e gli orizzonti politico-sociali del momento. La svolta neocubista avvicina l’artista ai pittori del “Fronte Nuovo”, in particolare a Renato Guttuso, riportando le sue ricerche al centro dell’attenzione. A dire il vero il percorso di Manca mantiene una sua specificità. La propensione simbolica fa comunque da filtro all’approccio diretto al reale, così la semplificazione delle forme resta orientata su una dimensione tutta mentale mentre la compenetrazione pittorica dei piani prende accenti marcatamente decorativi. I nuovi lavori vengono presentati nella capitale nel 1947 alla Galleria di Roma e, alla fine dell’anno, gli frutteranno il premio della Fondazione Umiastowska alla II Mostra Annuale dell’Art Club.
Ufficialmente Manca appartiene ormai allo schieramento neocubista, e in questa veste si ripresenta a Sassari, alla Galleria L’Acquario. La personale è corredata da uno scritto dell’artista e articolata in periodi, per meglio evidenziarne gli sviluppi linguistici. Nonostante il taglio didascalico la mostra non ottiene gli effetti desiderati; le novità catturano l’interesse di alcuni giovani, su tutti Libero Meledina e Costantino Spada, ma nel complesso vengono fraintese dall’ambiente sassarese che reagisce con interminabili polemiche. D’altra parte le cose non sono più semplici sul versante romano: gli eventi incalzano e le ricerche neocubiste devono fare i conti sia con le poetiche dell’impegno, sia con le prime esperienze astrattiste che vanno coagulandosi intorno al gruppo “Forma”. Nelle affermazioni teoriche Manca sembra saldo nella scelta neocubista; però, a dispetto delle reiterate professioni di fede, la sua produzione dà l’idea di un crogiolo in ebollizione.

L’opera esposta alla Quadriennale del 1948 (Donna seduta, fig. 35) è ancora vicina a modi di Guttuso, ma in alcune tele appena successive (Insetti nel bosco, fig. 50; Paesaggio e insetti, fig. 54) la resa caotica della struttura compositiva nasconde gli spunti iconici, avvicinandosi notevolmente ad esiti astratti. Anche le prove più figurative (Donna in riva al mare, fig. 45) rivelano soluzioni nuove: linee arrotondate e una marcata resa di superficie traducono le immagini pittoriche in una melodica combinazione di ritmi cromatici.
La decisa virata verso il Matisse degli anni Trenta riapre di fatto la strada alla componente surreale della poetica di Manca e, indirettamente, riporta a galla suggestioni metafisiche mai del tutto sopite. Il ritorno a Roma di Cagli, reduce dall’esperienza americana, probabilmente lo incoraggia in questa direzione, ma al tempo stesso lo sollecita al superamento della contrapposizione frontale tra iconismo e aniconismo. Nel dicembre del 1948 l’artista firma con Monachesi, Stradone, Vangelli e Vespignani il manifesto del Movimento della Giovane Pittura Italiana prendendo le distanze dalla condanna dell’Astrattismo pronunciata da Togliatti sulle colonne di Rinascita, e più in generale dall’eccesso di ideologizzazione che limita la libertà individuale di ricerca. E non si tratta di una semplice posizione teorica. Nel continuo alternarsi di soluzioni linguistiche che caratterizza la produzione sul finire degli anni Quaranta, Manca sembra dar sfogo a un’ansia sperimentale che ha radici profonde: entra ed esce dai confini stilistici delle diverse tendenze, rielabora schemi compositivi, prova tecniche differenti. È significativo che, partendo sia dal versante cuboespressionista, sia da quello metafisico-surreale, egli appaia inesorabilmente attratto dal fascino primigenio dell’astrazione; però a questo punto l’alternativa non è più tra il figurativo e il non figurativo, ma tra ricerche comunque impostate sulla dimensione sensibile e la possibilità di arrivare attraverso la pittura a una complessa sintesi concettuale della realtà.