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Luras :: Nel territorio si trovano gli "olivastri millenari di Santu Baltolu" e le vigne più estese dell'alta Gallura, dalle quali si ottengono vini di ottima qualità. Luras è famosa per la presenza del Museo Etnografico della Femina Agabbadòra. - Le Vie della Sardegna :: Partendo da Sassari Turismo, Notizie Storiche e Attuali sulla Sardegna, Sagre Paesane e Manifestazioni Religiose, Cultura e Cucina Tipica Sarda, Monumenti da visitare, Spiagge e Montagne dell'Isola. Turismo in Sardegna, itinerari enogastrononici e culturali, suggerimenti su B&B, Agriturismi, Hotel, Residence, Produttori Prodotti Tipici, presenti nel territorio. Informazioni e itinerari su dove andare, cosa vedere, dove mangiare, dove dormire sul Portale Sardo delle Vacanze e dell'Informazione. Sardegna Turismo dove andare e come arrivare, tutte le notizie che vuoi conoscere sull'Isola più bella del Mediterraneo. Scopri sul Portale Le Vie della sardegna le più belle località turistiche dell'Isola e la loro storia, i personaggi illustri e di cultura nati in terra Sarda.

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Luras :: Nel territorio si trovano gli "olivastri millenari di Santu Baltolu" e le vigne più estese dell'alta Gallura, dalle quali si ottengono vini di ottima qualità. Luras è famosa per la presenza del Museo Etnografico della Femina Agabbadòra.

Località > Olbia Tempio
Il patriarca di Luras l'Ulivo Millenario.
Il patriarca di Luras Ulivo Millenario
Luras
Luras è situato nella regione storica della Gallura e si estende su un poggio granitico dell'altipiano del Limbara. L'economia si basa sull'agricoltura, l'allevamento, la viticoltura e la lavorazione del sughero e del granito. Nel territorio si trovano gli "olivastri millenari di Santu Baltolu" e le vigne più estese dell'alta Gallura, dalle quali si ottengono vini di ottima qualità.


Abitanti: 2.667
Superficie: kmq 87,41
Municipio: via Nazionale, 12 - tel. 079 645200
Cap: 07025
Guardia medica: (Calangianus) - tel. 079 660234
Polizia municipale: via Nazionale, 12 - tel. 079 645213
Biblioteca: via Municipio, 12 - tel. 079 647052
Ufficio postale: via Nazionale, 14 - tel. 079 647562

Luras dolmen Billella
Luras dolmen Billella, informazioni Turistiche e Storiche sul comune di Luras in provincia di Olbia Tempio, come arrivare.
Panorama verso Luras
Panorama verso Luras, informazioni Turistiche e Storiche sul comune di Luras in provincia di Olbia Tempio
Il Territorio Luras sorge a 508 metri d’altitudine, adagiato su un poggio granitico che guarda a sud verso la catena del Limbara. Il territorio, di forma pressoché triangolare, ha una estensione di 86,98 kmq e confina a est con Calangianus e Sant’Antonio di Gallura, a nord con Luogosanto e ad ovest con Tempio Pausania. È un territorio tipicamente collinare, la cui altitudine varia da 100 a 718 m slm, non presentando quindi alcuna cima particolarmente elevata. Il paesaggio, sempre piacevole, è molto vario: sugherete, macchia mediterranea, curatissimi vigneti, modesti rilievi rocciosi dalle forme a volte bizzarre si alternano ai terreni pascolativi punteggiati spesso da antichi stazzi. Il più importante corso d’acqua è il riu Carana, che attraversa longitudinalmente il territorio di Luras, andando a formare nell’estremo lembo nordorientale il lago artificiale del Liscia. Da qui, col nome di fiume Liscia, scorre placidamente verso nord fino a raggiungere il mare nella costa fra Palau e Santa Teresa Gallura.
Sulle sponde del grande lago Il lago artificiale del Liscia, lungo oltre 5 km e largo 2, è nato con la realizzazione di uno sbarramento in località Calamàiu. L’imponente diga è stata costruita fra il 1958 e il 1962: con i suoi 69 metri d’altezza costituisce la più importante opera ingegneristica fino ad allora realizzata nella Gallura interna. La capacità massima d’invaso è di 105 milioni di metri cubi d’acqua: essa è stata raggiunta solo nel 2005, dopo quasi mezzo secolo dalla realizzazione della diga. Questa enorme risorsa idrica, utilizzata, oltre che per scopo irriguo, anche per l’approvvigionamento idrico di numerosi centri costieri, costituisce un’importante realtà economica e sociale: senza l’acqua del Liscia forse non sarebbe potuta esistere la Costa Smeralda. Incastonato con le sue acque blu fra bei rilievi coperti da macchia mediterranea, vigneti e sugherete, il lago ha assunto anche una grande valenza paesaggistica che non fa pensare alla sua origine artificiale. L’ambiente circostante, affascinante per vastità e solitudine, presenta alcuni elementi di eccezionale interesse naturalistico. Fra questi, a breve distanza dalla diga e vicinissimi alla chiesetta di San Bartolomeo si ergono, presso lo stazzo di Carana, due splendidi olivastri millenari dichiarati Monumento Naturale dalla Regione Sardegna. Il più grande dei due ha un’altezza di 15 metri e un tronco di 12 metri di circonferenza che sembra scolpito dalla natura. Già nella prima metà dell’ Ottocento le sue gigantesche dimensioni colpirono l’Angius, che così lo descriveva: «Otto uomini non cingerebbero il suo tronco sebbene distendessero a tutta misura le loro braccia; e tanto sono frondosi i suoi rami che non facilmente vi penetri la pioggia. Nella parte infima del corpo ha palmi sardi 56, un po’ superiormente 43». Considerato che il palmo sardo corrisponde a 26,2 centimetri, parrebbe che in quasi due secoli le dimensioni della pianta siano restate pressoché immutate: è quindi credibile l’età di 3000-4000 anni attribuita a questo patriarca della natura da recenti studi che lo riconoscono come l’olivo (oleastro) più vecchio d’Europa. Altri alberi monumentali sono presenti nell’agro di Luras. Vanno qui ricordati, sempre a Carana, sulle sponde del Liscia, due enormi lentischi, con una circonferenza del fusto rispettivamente di 4 e 5 metri circa e , in località Muscazega, ai confini col territorio di Tempio, alcune gigantesche sughere plurisecolari.
Panorama del lago Liscia. Il lago artificiale Liscia si trova tra i comuni di Sant'Antonio di Gallura, Luras, Arzachena e Luogosanto in territorio gallurese. Nasce dallo sbarramento del fiume Liscia e di altri torrenti minori grazie a una diga terminata nel 1962. Il lago artificiale permette l'approvvigionamento idrico di tutta la bassa Gallura.
Panorama del lago Liscia a Luras Provincia di Olbia Tempio
Luras dolmen Ladas
Luras dolmen Ladas
Nella terra dei dolmen Luras sorge in un sito intensamente frequentato già nella preistoria. Lo documentano i vari nuraghi di cui restano resti nelle vicinanze e l’esistenza di una via Nuraghe al centro del paese che, anche secondo la tradizione orale, testimonierebbe l’esistenza di un nuraghe nello stesso centro abitato: quattro dolmen nelle immediate vicinanze, poi, documentano una frequentazione del sito in epoca ancora più antica. I nuraghi del territorio sono tutti in pessimo stato di conservazione. Se ne cita qualcuno solo per completezza: Li Espi, sulla sponda sinistra del bacino del Liscia; Baddighe, in località omonima, ove si conservano anche i resti di una Tomba di giganti; Pabadalzu, in località Monte Pabadalzu; Pilèa, in località Campanadolzu, che conserva una certa imponenza anche se in gran parte crollato. Ben altro rilievo monumentale e scientifico presentano invece i dolmen, presenti in numero di quattro in una breve area all’interno e nei pressi del centro abitato, tutti ben conservati nelle loro strutture. Il più piccolo, il dolmen di Alzoledda, si trova sul pendio di una bassa collinetta granitica in un’area ormai inglobata totalmente nel tessuto urbano: la semplice struttura tombale ha forma rettangolare, con ingresso rivolto verso est, e camera di pianta rettangolare; sia le pareti laterali che quella di fondo sono costituite da un’unica lastra in granito; anche la copertura è realizzata con un unico masso piatto quadrangolare. Il dolmen di Ciuledda, a nord-est dell’abitato, posa su un bancone di roccia granitica scavato da alcune canalette naturali, forse parzialmente adattate dall’uomo, che formano un sistema di drenaggio delle acque piovane attorno al monumento: ha pianta semicircolare con pareti costituite da lastre verticali affiancate ed ingresso a sud-est; l’altezza della camera degrada dall’ingresso verso il fondo e la copertura è costituita da un’unica lastra poligonale. Durante i lavori di consolidamento di questi due dolmen, effettuati alla fine degli anni Novanta del Novecento, sono stati raccolti alcuni reperti che consentono di datare l’impianto di entrambi i monumenti alla fase più antica della “Cultura di Ozieri”, attorno al 3200 a.C.: questa datazione induce a prospettare, per l’inizio del fenomeno dolmenico in Sardegna, una data più antica di quella proposta convenzionalmente in precedenza. Una datazione più o meno analoga, anche se non suffragata da dati materiali, può essere proposta per gli altri due dolmen presenti nel territorio di Luras. Il dolmen di Billella, anch’esso di tipo semplice, ha pianta rettangolare e ingresso rivolto a nord-est; la parete di destra è costituita da un lastrone rettangolare e quella di sinistra da due massi parzialmente lavorati; il lastrone di copertura è appiattito nella superficie inferiore e lasciato al naturale in quella superiore. Il dolmen di Ladas, uno dei più grandi e monumentali della Sardegna e di tutto il Mediterraneo centrale, è invece del tipo “a corridoio”: su un pianoro roccioso cosparso a tratti da bassa macchia, a poche decine di metri da quello di Ciuledda, ha pianta rettangolare con fondo absidato ed ingresso rivolto a sud-est; l’altezza della camera degrada dall’ingresso al fondo e le pareti sono costituite da grandi lastre piatte; anche la copertura è realizzata con due grandi lastre. Intorno alla camera tombale si conserva un paramento murario costituito da lastre piatte, disposte in posizione obliqua. Non ci è dato sapere se vi sia stata continuità abitativa del sito in età romana e altomedievale. Luras è sicuramente documentata a partire dalla prima metà del Trecento in registri pisani e aragonesi, in cui compare con i nomi di Villa Lauras, Lunas e Luras. Faceva parte del giudicato di Gallura, curatoria di Gèmini, e si ritiene, stando ai tributi che pagava, che fosse un centro di media grandezza, con una consistenza demografica compresa fra i 50 e i 100 abitanti. In periodo feudale, come quasi tutto il territorio della ex-curatoria, appartenne ai Carroz, ai Maza del Liçana, ai Portugal, ai De Silva Fernandez e ai Fadriguez Fernandez, dai quali venne riscattato dallo stato sardo nel 1839. La popolazione andò via via aumentando, incrementata, si ritiene, anche dagli abitanti di alcune delle ville esistenti all’inizio del Trecento e poi misteriosamente estintesi: Siffilionis, Canahim, Agiana, Canaran e altre, anche molto distanti dall’odierno abitato. Nel censimento del 1688 Luras aveva 408 abitanti; solo dieci anni dopo, nel 1698, erano 564, 1220 nel 1751, 1357 nel 1824, 1812 nel 1861, 2497 nel 1901. L’incremento continuò per tutta la prima metà del Novecento fino a raggiungere i 3162 abitanti nel 1951, per poi iniziare a regredire lentamente. Attualmente (2007) conta 2667 abitanti.
Luras dolmen di Ciuledda
Luras dolmen di Ciuledda
Luras chiesa del Purgatorio
Luras chiesa del Purgatorio
Luras chiesa di Nostra Signora del Rosario
Luras chiesa di Nostra Signora del Rosario
Il trionfo del granito a vista Dilatatosi negli ultimi decenni in maniera abbastanza ordinata e razionale, il paese è dotato di tutte le infrastrutture necessarie: un nuovo Palazzo comunale ben inserito nel contesto urbano, un bel viale d’accesso, un accogliente spazio verde in pieno centro, Scuola materna e asilo, Scuole elementari e medie, Biblioteca comunale, due campi di calcio e uno di calcetto. Ma la vera ricchezza del paese è data dal suo centro storico, piacevole e ben conservato. È caratterizzato da numerosi palazzotti ottocenteschi e del primo Novecento che emergono dagli allineamenti di case basse affacciandosi spesso su strette viuzze. Sempre eleganti nella loro sobrietà, possono essere o in granito a vista o, se intonacati, con i rilievi delle aperture in granito scolpito. Spesso sono ingentiliti da elaborate ringhiere in ferro battuto e da belle lunette, anch’esse in ferro battuto, che inserite nelle centine delle porte riportano l’anno di costruzione o le iniziali del proprietario. Sempre particolarmente curata è la lavorazione delle denteddhas , i tipici mensoloni in granito che sostengono la gronda del tetto. Al centro del paese è la chiesa parrocchiale intitolata alla Vergine del Rosario; edificata alla fine del Settecento per volontà del sacerdote Giorgio Scano, che in parte la finanziò, andò a sostituire la vecchia parrocchiale di San Giacomo che, ormai in rovina ai margini del paese, venne demolita nel 1765. Di questa non resta alcuna traccia se non il toponimo (Santu Jagu) di un rione del paese. La chiesa del Rosario ha una semplice facciata in conci di granito a vista conclusa da un fastigio curvilineo. Spiccano il bel portale centinato con cornice sagomata e, fra il portale e una finestra quadrangolare, una piccola nicchia che ospita una statuina marmorea della Vergine. Questa nicchia, realizzata in parte con un granito diverso da quello degli altri conci della facciata, parrebbe essere una monofora romanica proveniente forse da un’altra chiesa preesistente o dalla vecchia parrocchiale di San Giacomo. Di particolare interesse è l’interno, a tre navate con presbiterio quadrangolare. Le navate laterali sono composte ognuna dalla successione di tre profonde cappelle comunicanti fra loro mediante archi a tutto sesto; sia la navata centrale che le cappelle laterali hanno copertura a botte realizzata in mattoni e sono segnate da profonde unghiature in cui sono inserite finestrelle sia interne che esterne. L’intonaco originale è stato interamente asportato negli anni Sessanta del secolo scorso, snaturando sicuramente l’edificio ma conferendogli una grande austerità e una suggestione tutta particolare data dal contrasto fra il grigio granito dei paramenti murari e il rosso mattone delle volte. Prospiciente la parrocchiale è l’oratorio di Santa Croce, sede della omonima confraternita: risalente al Seicento, è stato manomesso nella seconda metà del Novecento, riducendolo in lunghezza e arretrando la facciata: questa si presenta ora in granito a vista, sovrastata da una bella croce in granito scolpito proveniente da altro sito, ma purtroppo rovinata da una bizzarra apertura a forma di lungo arco ribassato realizzata sopra la porta d’ingresso. Le due chiese, unitamente ai sobri edifici abitativi che fanno loro da contorno, creano un interessante e pregevole contesto urbanistico. La piazza, dal perimetro piacevolmente irregolare dato dalla confluenza di ben nove vie e viuzze, non presenta alcuna costruzione recente o altro elemento di disturbo. Fra i palazzotti signorili che prospettano sulla piazza risalta la casa Depperu: recentemente vincolata dal Ministero per i Beni Culturali, è stata edificata nel 1908 e da allora non ha subìto interventi di rilievo, conservando ancora buona parte degli arredi originari e tutte le volte decorate con gradevoli affreschi liberty. Nei vicoli del centro storico sono di un certo interesse altre due chiese: San Pietro (XVII secolo) e Il Purgatorio (fine del XVIII). Entrambe realizzate in conci di granito a vista, hanno semplici facciate a capanna ingentilite da eleganti campaniletti a vela anch’essi in granito. Ambedue le chiese sono state recentemente restaurate, fortunatamente nel rispetto delle caratteristiche originarie. Luras ha molte chiese campestri. Ben tre sono in località Silonis, nel sito in cui si ritiene fosse l’estinto villaggio di Siffilionis: San Pietro, ormai in rovina e meritevole di un intervento di recupero (pare fosse la parrocchiale del villaggio); Santa Maria, di origine quasi certamente medievale (un’epigrafe con la data del 1109 è iscritta in un’ architrave oggi murata in un ingresso secondario a seguito di un improvvido rimaneggiamento dell’edificio); San Leonardo, ricostruita nell’ Ottocento sulle rovine di un’ altra chiesa probabilmente medioevale. In località Carana, sulle sponde del Liscia e a breve distanza dagli olivastri millenari, la chiesetta di San Bartolomeo: è anch’essa di antica origine, ma purtroppo è stata malamente rimaneggiata nei primi anni Sessanta del secolo scorso. Al suo interno ospita, oltre al simulacro del santo titolare, anche quello di San Nicola, proveniente dalla omonima chiesa più a valle, (anch’essa di origine medioevale e probabile parrocchiale dell’ estinto villaggio di Canara), che con la realizzazione del lago del Liscia è andata sommersa dalle acque: a volte, nei periodi di secca, càpita che i suoi ruderi riemergano malinconici.
La processione de S'incontru esce dalla parrocchiale del Rosario Luras, fotografia di Salvatore Pirisinu
La processione de S'incontru esce dalla parrocchiale del Rosario Luras, fotografia di Salvatore Pirisinu
Dalle berrittas” al nebbiolo Nell’Ottocento Luras raggiunse un particolare benessere grazie ad una intelligente integrazione delle tradizionali attività agricole e artigianali con quelle commerciali. Furono numerosi i luresi che, sfruttando una loro innata predisposizione per il commercio, cominciarono a smerciare i loro prodotti in ogni parte dell’isola. Oggetto principale di questo commercio erano i tessuti, prima prodotti dalle loro donne e poi prevalentemente importati dal Continente, e in particolare le berrittas, gli antichi copricapo del costume maschile. In molti fecero fortuna e tanti intrapresero attività commerciali stabili in altri paesi, finendo per stabilirvisi, senza però mai recidere del tutto il loro legame con Luras. Il benessere di allora è ancora documentato dai bei palazzotti ottocenteschi del centro storico. Ancora oggi Luras gode di un relativo benessere: oltre che nel terziario, molti lavorano nella attigua zona industriale di Tempio-Calangianus e, soprattutto nel campo dell’edilizia, nella vicina Costa Smeralda. Sono abbastanza numerose le attività commerciali. Nell’artigianato risalta la lavorazione del sughero e la produzione di dolci tradizionali. L’attività estrattiva del granito, dopo il boom degli anni Ottanta, si è (per fortuna dell’ambiente) notevolmente ridimensionata e al momento sono solo tre le cave in attività. Il turismo attualmente è fonte di reddito solo per una piccola cooperativa che gestisce visite guidate,per tre agriturismi e per un B&B al centro del paese, ma è destinato a un sicuro sviluppo legato prevalentemente alla valorizzazione del lago del Liscia, dove già sorgono alcune moderne strutture ricettive. Agricoltura e allevamento continuano a essere praticati, almeno come seconda attività, da un buon numero di abitanti. Particolare rilevanza economica ha la viticoltura: negli ultimi anni è stata ampliata notevolmente l’estensione vitata, prediligendo i vitigni nebbiolo e vermentino. Le uve vengono vinificate prevalentemente nella Cantina sociale “Gallura” che, pur avendo sede a Tempio, è da considerarsi una realtà lurese. I suoi vini, molti dei quali hanno nomi che richiamano località luresi (Canayli, Karana, Ladas), hanno conseguito importanti riconoscimenti nazionali e internazionali. Buoni successi stanno riscuotendo anche i vini di una cantina privata nata di recente: la “Cantina Depperu”. Il vino lurese per antonomasia è il Nebbiolo di Luras, un vino rosso e corposo ben diverso dal nebbiolo piemontese, derivato da un vitigno importato nell’ Ottocento e a Luras acclimatatosi egregiamente. Per sostenere i produttori e favorirne la diffusione è stata recentemente istituita un’associazione ad hoc: la “Confraternita del Nebbiolo”.
Il mistero dell’isola linguistica Nel cuore della Gallura, a pochissimi chilometri da Calangianus, Nuchis e Tempio, a Luras non si parla il gallurese ma il logudorese: un logudorese schietto e musicale che presenta la particolarità di non prevedere il plurale maschile: anche s’homine (l’uomo) al plurale diventa sas homines. Si è molto discusso sull’origine di questa isola linguistica in piena Gallura. La tesi più accreditata la lega allo spopolamento della Gallura avvenuto dal Trecento in poi: i luresi sarebbero i discendenti diretti di quella che era la popolazione autoctona della zona prima che iniziasse la pacifica immigrazione dei corsi che introdussero nella regione la loro lingua. La tesi troverebbe conferma, oltre che in alcuni caratteri somatici dei luresi (una statura leggermente più bassa della media della zona e una più bassa percentuale di biondi), anche in alcune tradizioni perduranti nel paese, fra cui alcuni tipi di pane e di dolci comuni al resto dell’isola ma non alla Gallura. La festa patronale, la Madonna del Rosario, si celebra la prima domenica di ottobre: molto sentita dai luresi, che mai rinuncerebbero ad essere in paese per la circostanza, non si differenzia dalle altre feste patronali della zona. Molto suggestivi sono invece i riti della Settimana Santa, curati dalla confraternita di Santa Croce che da alcuni anni, anche con l’adesione di diversi giovani, ha ritrovato una grande vitalità. Nel pomeriggio del venerdì santo si svolge prima il rito de s’Incravamentu (il Cristo viene inchiodato in croce); all’imbrunire, dopo la messa, quello più sentito e intenso de s’Iscravamentu (il Cristo viene deposto dalla croce), concluso da una suggestiva processione notturna accompagnata da antichi cori sardi. Ben più festosa ma altrettanto suggestiva è la processione de s’Incontru che si svolge la domenica di Pasqua. Le feste campestri, quasi sempre accompagnate dal pranzo collettivo, sono più d’una: Santa Maria il lunedì di Pasqua, San Nicola la terza domenica di maggio, San Leonardo l’ultima domenica di maggio, San Giuliano la prima domenica di settembre, Sant’Elena il primo maggio, San Michele la prima domenica di maggio. Le ultime due si svolgono in chiese che non sono più in territorio di Luras, né sotto la giurisdizione del suo parroco, ma i luresi vi continuano a celebrare le loro feste per antica tradizione.
Luras Museo etnografico Galluras. Il martello della femina agabbadora.
Luras Museo etnografico Galluras. Il martello della femina agabbadora.
Il museo “Galluras” e la collezione Forteleoni Un forte elemento di stimolo culturale e di richiamo turistico è costituito a Luras dal Museo Etnografico Galluras – frammenti della civiltà gallurese. È il primo in Gallura per data di costituzione e per numero di visitatori: frutto dell’ iniziativa e della passione di Pier Giacomo Pala, che ne è il fondatore e il titolare. Sorge al centro del paese in un palazzotto a tre piani, con facciata in granito a vista e solai in legno, restaurato con estrema meticolosità. Ospita oltre 4000 reperti datati fra la fine del Quattrocento e i primi del Novecento: non una fredda esposizione museale, ma la ricostruzione fedele e quasi vissuta degli ambienti domestici e di lavoro della realtà gallurese dell’Ottocento. Fra i pezzi esposti assolutamente unico è il “martello della fémina agabbadora”, un rustico martello in legno di olivastro che pare venisse usato, seguendo un rituale avvolto da un alone di mistero, per porre fine alle sofferenze di malati terminali; la mesta incombenza spettava appunto alla fémina agabbadora (alla lettera, “la donna che pone fine”), generalmente la stessa levatrice della comunità: ruolo che veniva tramandato di madre in figlia unitamente al martello. L’ultimo caso documentato a Luras di questa arcaica forma di eutanasia risalirebbe al 1929. In una casa in granito nei pressi della chiesa parrocchiale (aperta al pubblico dietro prenotazione) si conserva l’interessante e insolita Collezione Forteleoni, la raccolta di molte delle opere di un originale artista lurese, Tonino Forteleoni (1915-1996), pioniere e maestro della lavorazione artistica del sughero. Fra i vari manufatti, tutti in sughero finemente intarsiato, risaltano i quadri, anch’essi realizzati con migliaia di piccoli frammenti di scorza di sughero delle più diverse tonalità che, accostati con maestria, danno luogo a immagini di grande suggestione.
I luresi illustri Fra i numerosi personaggi illustri di Luras vanno ricordati: Giacomo Pala (1849-1927), avvocato e uomo politico vicino alle posizioni di Felice Cavallotti, deputato al Parlamento ininterrottamente dal 1897 al 1919; Filippo Addis (1884-1994), uomo di cultura, critico letterario e fine scrittore: fra le sue opere più note, Giagu Iscriccia (1924), La sughera di Campanadolzu (1950), Renata (1962), Santina Liori (1967); Giorgio Bardanzellu (1888-19574), medaglia d’argento al valor militare nella Prima guerra mondiale, uomo politico di fede monarchica e brillante oratore, fu deputato al Parlamento dal 1934 al 1939 e successivamente dal 1953 al 1963; Salvatore Pala (1877-1950), mitica figura di medico al servizio delle persone più umili, ricordato con riconoscenza in una lapide nella vecchia casa comunale; Paolo Depperu (1901-1976), medico di fama internazionale, docente universitario e scrittore; Mariano Pintus (1916-1983), giornalista e politico, deputato al Parlamento con la Democrazia Cristiana dal 1953 al 1972, che ricoprì anche incarichi di governo.
E’ il museo del territorio. Non a caso, prendendo in prestito il prefisso della regione (Gallura) e il suffisso del paese che lo ospita (Luras), si chiama “Galluras”. Si tratta della tipica abitazione gallurese con oltre 5.000 reperti datati dalla fine del 1400 alla prima metà del 1900. Il pezzo più antico e pregiato di questo paradiso dell’etnologia è senza dubbio il martello della “Femina Agabbadòra”, unico esemplare riconosciuto al Mondo, il più antico strumento per la pratica dell’eutanasia. Un palazzetto a tre piani di fine 1700, una casa modesta, con il classico granito a vista e nulla che lo faccia distinguere da tanti edifici di questa Gallura dove anche la pietra ha una sua storia. Aldilà di questi muri di granito, i materiali e gli oggetti che arredano lo strepitoso museo hanno una particolarità. Sono animati. Forma e sostanza, atto e potenza di tutto ciò che si è mosso, che è stato tra i pastori, gli agricoltori, gli artigiani, le famiglie di questo lembo di terra. I tentativi di catalogare, descrivere, etichettare questo piccolo tesoro sono del tutto vani. Per capire bisogna respirare, guardare, ascoltare. Primo museo etnografico in Gallura, la regione a nord-est della Sardegna, e' impostato sulla fedelissima ricostruzione degli ambienti tipici della civiltà gallurese: viticoltura/vinificazione, agricoltura/pastorizia, cortile interno, tessitura, lavorazione del sughero e ambiente domestico con sala da pranzo, cucina e camera da letto. Gli ambienti sono stati ricostruiti rispettando la struttura e l'equilibrio delle vecchie case galluresi, con una cura ed una attenzione ai particolari che li rende vivi, vissuti. Una fedeltà ricostruttiva che ha stupito, a volte commosso quei visitatori più anziani che quegli ambienti avevano vissuto e conosciuto davvero, reperti che significano lavori, azioni, parole, emozioni. E’ situato sulla via principale del paese in una struttura abitativa tipica dell’Alta Gallura, con caratteristica facciata in granito a vista e solai in legno, perfettamente restaurata.

Il museo è sorto grazie alla grande e disinteressata passione
di Pier Giacomo Pala il quale ne cura l'impostazione e la direzione.



Il museo È situato sulla via principale del paese in una tipica abitazione dell'Alta Gallura, a tre piani. Gli ambienti sono stati ricostruiti nel rispetto della struttura e dell'equilibrio delle vecchie case galluresi. Il museo è articolato sui tre piani, accuratamente ricostruiti nel rispetto degli ambienti tipici della cultura locale tra la fine del Seicento e la prima metà del Novecento. Trovano sistemazione oltre 4000 reperti del centro gallurese. Piano terra. Saletta audiovisivi: consente la visione di filmati e la consultazione informatica e bibliografica. Sala 1: strumenti relativi alla viticoltura, vinificazione e cantina. In particolare spiccano "sa cascietta", cassone per la pigiatura dell'uva, "sa suppressa", un torchio in legno risalente alla fine del Seicento primi del Settecento, e un'alambicco a condensatore. Sala 2 e cortile: strumenti e oggetti propri delle attività agricole (lavori dei campi, lavorazione dei cereali) e pastorali (raccolta, trasporto e lavorazione del latte, finimenti, cura e governo degli animali). Primo piano. Il piano ripropone, nella sua integrità di arredi, un ambiente domestico articolato. Sala 3: sala da pranzo: composta da una credenza, una cassapanca per la conservazione del pane, una "piattéra", piattaia pensile, e una "banca a fogliu", funzionale tavolo a libro che permetteva di raddoppiarne con facilità il piano d'appoggio, era il luogo dell'incontro e della convivialità, lo spazio per il dialogo. Sala 4: cucina: al centro della stanza è posta la tradizionale "banca 'e su pane", il tavolo per la panificazione. Sala 5: camera da letto. Secondo piano. Sala 6: macchine per la lavorazione della lana e del lino, capi di abbigliamento e tessuti. Sala 7: è dedicata alle tecniche di lavorazione del sughero, attività tipica della zona. Sintetizzando, si può indicare il seguente percorso museale: viticoltura-vinificazione, agricoltura-pastorizia - cortile interno – cucina - sala da pranzo - camera da letto lavorazione della lana lavorazione del sughero. Sono presenti barriere architettoniche. È importante visitarlo perché racchiude la tipicità delle case di cultura rurale e contadina, rappresentando le tradizioni galluresi. Il museo conserva il famoso e macabro martello che nel passato veniva usato da "sas accabadoras", le donne incaricate di "porre fine" (dallo spagnolo acabàr) alle sofferenze dell'agonizzante sul letto di morte. Si tratta di un ramo di olivastro lungo 40 centimetri e largo 20, dotato di un manico che permette un'impugnatura sicura. È stata attrezzata una sala per la lavorazione del sughero.
Servizi Visite guidate su prenotazione. Biblioteca. Attrezzature audiovisive per la proiezione di filmati che illustrano le varie fasi di un ciclo lavorativo. Laboratorio didattico dei "Giogus Antigus" dove i visitatori vengono coinvolti in maniera attiva nello svolgimento dei giochi e nella realizzazione dei giocattoli. Un esperto artigiano insegna a costruire in modo semplice e divertente i giocattoli, spiegando le tecniche ed i segreti per la realizzazione di quelli più complessi e approfondendo infine il ruolo che il giocattolo ricopriva nella vita quotidiana ricostruendone l'origine geografica e culturale. Laboratori e dimostrazioni delle attività agro pastorali ed artigianali. Attività didattiche per scolaresche e gruppi.



Contatti
MUSEO ETNOGRAFICO GALLURAS
Il museo della “femina agabbadora”
Indirizzo: via Nazionale 35a, Luras
Telefono: (+39) 368 33 76 321
Ente titolare: Pier Giacomo Pala
Orari: su richiesta
Biglietto: € 5,00 (intero) € 2,50 (scolaresche)

Sito internet: www.galluras.it

Museo Galluras La stanza degli sposi Fotografia di Salvatore Pirisinu
Museo Galluras La stanza degli sposi Fotografia di Salvatore Pirisinu
LE ULTIME TESTIMONIANZE REALI SULLA FEMINA AGABBADORA:
TESTIMONIANZE LETTERARIE - ORALI - RICERCHE SUL CAMPO - RITI - TESI DI LAUREA - IL MARTELLO - LA CHIESA

*Era buio, la stanza era illuminata da un lumino con olio di lentisco, l’accabadòra entra nella casa – trovata la porta aperta – si siede accanto al capezzale, carezza la testa del tardo a morire, gli cantilena il rosario, poi una delle tante nenie per addormentare i bambini. Infine una botta secca sul cranio, con un suo attrezzo avvolto nell’orbace spesso e nero.
*Nel confessionale una donna di circa 80/85 anni, zia .............., parlava lucidamente: una donna minuta, dal viso ovale incorniciato da un fazzoletto marrone, mani bianchissime e affusolate.
D. Cosa le ha raccontato?
R. Mi ha detto: "Sono una che aiuta a morire. Sono stata incaricata da Dio. L'ultimo mio intervento è stato qualche mese fa...
*A Sant’Andrea Frius vi era alla fine dell’ottocento un artigiano che oltre a produrre manualmente attrezzi agricoli costruiva dei martelli di circa una cinquantina di centimetri che venivano utilizzati dalla Femina Accabadora per dare il colpo di grazia. Mi confermò che, in alcuni casi, era intervenuta proprio per mettere fine alle sofferenze di persone che, purtroppo, erano in fase terminale.

Il libro "Antologia della Femina Agabbadòra" è un contributo importante nella comprensione di un contesto e di una figura che ha operato in Sardegna per moltissimi anni, ponendo fine all’agonia dei malati terminali, sempre all’interno di precisi codici etici. Un lavoro che si lascia alle spalle la narrazione romanzata, la leggenda o il senso del mistero e “aggredisce” il tema, dando voce a testimoni di tutti i generi. 507 pagine, con otto capitoli, che vanno dall’etimologia della parola “agabbadòra”, alle diverse testimonianze orali e letterarie, alla ricerca di quanto si trova sulla rete, all’editoria che se ne è occupata. Il libro è corredato da belle foto in bianco e nero, che rappresentano i diversi momenti di questa storia, sono opera dello stesso Pala.

Per informazioni e per acquistare il libro
Telefono: 368 33 76 321- E-mail: a info@galluras.it

Pier Giacomo Pala
è nato a Luras (OT) il 18 novembre 1956. Cultore e appassionato di tradizioni popolari. E' proprietario e curatore del Museo Etnografico GALLURAS. Ha cominciato a raccogliere materiale etnografico all'età di dodici anni.
Nel 1981 acquista un palazzotto nella via centrale di Luras e inizia i lavori di restauro conservativo.
E' in questo edificio che nel 1996 apre il Museo GALLURAS, il museo della femina agabbadòra, dove sono esposti oltre 5.000 reperti. Sempre nel 1981, da un amico di Luras, viene a conoscenza della pratica della femina agabbadòra e dal quel momento inizia la sua ricerca su quest'argomento.

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Pier Giacomo Pala è nato a Luras (OT) il 18 novembre 1956 con in mano il martello della femina Agabbadora.
Immagine d'epoca panorama di Luras.

A Luras, nella casa che si affaccia sui graniti della Piazza del Rosario e che è stata la sua ultima dimora, si possono ammirare le opere di un singolare artista qual'è stato Tonino Forteleoni (Luras 1915 -1996) il cui estro, accompagnato dalla sua straordinaria manualità, lo portò ad intuire che il sughero aveva un'anima e che da esso si poteva ricavare qualcosa di diverso. Abilissimo nello scolpire ed intagliare la corteccia, con una tecnica originale e personale, otteneva dei bassorilievi a mosaico utilizzando tutte le calde sfumature di colore del sughero. In decenni di attività ha creato mobili di diverse fattezze e altre opere di notevole pregio artistico: in particolare i suoi quadri suscitano sentimenti ed emozioni profonde. Nel sito sono presenti informazioni sulla sua vita, nonché alcune opere, le tecniche utilizzate per crearle, i materiali usati ed altre utili indicazioni per poter meglio comprendere ed apprezzare il lavoro di questo grande artista del sughero.




Tonino Forteleoni nacque, terzo di sette figli, a Luras il 26 dicembre 1915 da Giovanni e Sebastiana Pala. Il 27 maggio del 1939 sposa Elena Maurelli. Nel 1944 muore il padre ed egli inizialmente continua il lavoro nella fabbrica col fratello Giovanni Antonio, prima che quest'ultimo proseguisse in proprio. A partire dal dopoguerra inizia a mettere a punto le tecniche di mosaico e rivestimento con sughero che lo renderanno famoso. Il 2 giugno 1956 gli viene conferita l'onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica. Dal 22 aprile 1961 al 22 novembre 1964 ricopre la carica di primo cittadino del Comune di Luras. Nel 1985 si ammala gravemente la moglie, la quale morirà nel 1992. Muore a Luras il 22 novembre 1996.

Collabora con l'ISOLA, partecipando alle mostre e alle biennali dal 1959 al 1962 prima e dal 1970 al 1975 poi. Durante la Prima Biennale, nel 1960, ricevette un premio per le innovazioni apportate alla lavorazione del sughero. Dal 1959, per sette anni, insegna nel laboratorio artistico-artigianale della sezione sugheriera dell'Istituto per l'Industria e l'Artigianato di Calangianus.




Dopo la sua morte è stato rinvenuto in un suo cassetto un breve scritto anonimo che lo descrive magistralmente e che vogliamo riportare:

Se vi dovesse capitare di inoltrarvi in quei meravigliosi boschi di querce che, come direbbe Dante, da nessun sentiero sono segnati, potreste imbattervi in un giovanotto di settant'anni che con sguardo attento osserva gli alberi uno per uno, seguendone le biforcazioni del tronco e l'intrecciarsi dei rami, cercando, trovando e valutando, con occhio esperto, le varie tonalità di colore, le più sottili sfumature, una grana, una consistenza particolare dell'abito con cui le querce si adornano: il sughero. Del sughero, questo giovanotto di settant'anni che si chiama Tonino Forteleoni, conosce tutti i segreti: sa come trasformare quelle scaglie bitorzolute in drappeggi per una veste di Madonna; sa come continuare a farlo vivere sotto altre forme: quelle composte e stilizzate degli animali fantastici che adornano una cassapanca o quelle tormentate che animano l'agonia di un Cristo morente. Il materiale di cui si serve l'artista vive qui, nel bosco; e quella corteccia compatta e consistente che avvolge la quercia come in un abbraccio è la sua tavolozza.






La Tecnica L'innovazione geniale nella tecnica di Tonino Forteleoni è stata quella di applicare al bassorilievo in sughero, cosa già di per sé rivoluzionaria, un mosaico di piccoli frammenti (striscia o tassello) in scorza di sughero prelevato direttamente dai rametti più alti e sottili della quercia, perciò maschio. Nella pianta l'artista trovava tutte le colorazioni naturali necessarie per comporre le sue opere, ricavando dalla corteccia una moltitudine di colori impensabili ed invisibili agli occhi dei più. L'applicazione di questa tecnica pionieristica mutava profondamente i metodi della lavorazione artistica del sughero. Analizzando le attrezzature impiegate troviamo solamente una piccola lama affilatissima, una raspa e della carta vetrata; l'applicazione dei tasselli avveniva con l'ausilio di colla e martello. Tutto il resto era affidato alla sua eccezionale manualità e fantasia. Il desiderio di sperimentazione lo ha portato a continue variazioni di stile, in una costante ed esasperata ricerca del particolare, affidato alle mutazioni infinitesimali dei gradi di colore. La dovizia di particolari è presente in ogni sua composizione e la difficoltà oggettiva nella realizzazione delle opere era pari alla sua innata modestia, che lo portava a sminuire la reale importanza delle creazioni. Diverso discorso si può fare per i mobili: cassapanche, letti, armadi, tavoli, etc. In essi vi è sempre un'armatura in legno in quanto il sughero, pur essendo decisamente più duraturo del legno, è di questo più flessibile quindi soggetto a deformazioni, per cui occorre sempre un'anima rigida sulla quale applicare poi la scorza di sughero. Spesso la base in legno è molto elementare (multistrato); altre volte, come nel caso di armadi di pregio eseguiti negli anni sessanta, il lavoro in legno di qualità veniva affidato ad ebanisti qualificati che eseguivano il lavoro su suo progetto, con la costante assistenza dell'artista che curava ogni singolo particolare. A struttura terminata, si procedeva al rivestimento con strisce, tasselli ed altre applicazioni in sughero, come sopra descritto.




Storia della Collezione La Collezione Forteleoni non è un museo, non vi è orario né biglietto d'ingresso: è solamente una casa privata, l'abitazione degli ultimi trent'anni della vita di Tonino Forteleoni, un maestro tanto geniale quanto singolare per le opere che ha realizzato nella sua lunga attività artistica. L'importanza della Collezione è data da queste tecniche inusuali che lui stesso ha inventato e sperimentato per la prima volta. Dopo la morte di zio Tonino, non vi era alcuna idea circa un possibile utilizzo di qualsiasi genere per questa casa. E le cose si sono trascinate così per circa un anno, con le stanze rimaste per lungo tempo in balia della polvere che tentava di avere il sopravvento sui tesori quando, per un fatto estraneo ed episodico quanto imprevedibile, ho compreso che non volevo disperdere quanto avevo in mano e di cui allora, forse, non avevo ancora focalizzato l'importanza. Da qui l'idea di riaprire le porte della casa ai visitatori, in sintonia con quanto già faceva in vita zio Tonino. Le prime timide visite guidate mi sembrano ora quasi irreali: alle domande su quali erano le mie intenzioni non ero in grado di dare risposta, neppure a me stesso. L'idea è venuta quasi da sola. A poco a poco è emersa la volontà che tutto, opere, mobili e suppellettili della casa restassero così come lui le aveva lasciate quel 22 novembre del 1996, giorno della sua scomparsa. Da quel momento visite sempre più frequenti ed un interesse crescente per quella che un giornalista, incuriosito dall'attenzione che cominciava a circondare la casa, in un suo articolo citava, per la prima volta, come la Collezione Forteleoni dando così, involontariamente, un nome appropriato al mio progetto. Quindi la Collezione Forteleoni non è altro che una casa, magari una casa molto particolare, forse anche una Casa Museo, ma pur sempre un'abitazione dove un artista di grande ingegno e sensibilità, come sicuramente è stato zio Tonino, è vissuto, ha lavorato ed ha creato tanti capolavori. Di questa casa desideravo che si cogliesse lo spirito, si sentissero gli odori e gli umori che permeano le stanze e che tanti visitatori percepiscono già dai primi istanti. Per non snaturare le sensazioni che voglio trasmettere durante la visita l'unico sistema era lasciare che i suoi lavori potessero essere ammirati e studiati nello stesso luogo e nella stessa posizione nella quale per anni erano stati conservati. Ogni volta che accompagno il singolo visitatore, la famiglia di turisti o un'intera scolaresca cerco di trasmettere la mia profonda riconoscenza a zio Tonino, che ha voluto che io raccogliessi il testimone tramandando un'arte ai più sconosciuta. La finalità della Collezione è quella di far sì che un ingegno tanto singolare non venga dimenticato con la dispersione di una raccolta unica ed irripetibile nel suo genere in tutto il mondo che chiunque lo desideri, sempre compatibilmente al mio tempo ed al mio lavoro, può conoscere con una visita che dura all'incirca un'ora.




Contatti
COLLEZIONE FORTELEONI
Indirizzo: via Umberto I 23, Luras
Telefono: 079 647547 - 079 660333
Ente titolare: Silverio Forteleoni
Orari: su appuntamento
Biglietto: ingresso gratuito

Sito internet: www.forteleoni.it

Luras scorcio via Garibaldi
Luras Museo etnografico Galluras. Il martello della femina agabbadora.
 

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