Testi di Antonangelo Liori
Desulo Arroccato a quasi mille metri su una delle montagne più vicine alla Punta Lamarmora (la cima più alta dell'isola), questo bel paese della Barbagia di Belvì è immerso proprio nel cuore del Gennargentu: e di questa posizione geografica conserva il riflesso speculare nella cultura e nella civiltà. Desulo funge proprio da centro di polarizzazione di culture diverse conservando, meglio degli altri comuni limitrofi, la cultura e la civiltà barbaricina attraverso una serie di profumi, di suoni, di sensazioni inconfondibili che lo distinguono dagli altri paesi addossati sul Gennargentu. Al limite tra Barbagia di Ollolai, Barbagia di Belvì, Ogliastra e Mandrolisai è, in effetti, di difficile collocazione perché molti aspetti lo accomunano a tutte queste regioni: così come la sua posizione centrale lo mette in rapporto di scambio di influenze con una serie di comuni con i quali confina e che costituiscono, tutti insieme, l'aristocrazia della civiltà “interna” dell'isola, il suo cuore storico più antico: Fonni, Gavoi, Ovodda, Tiana, Tonara, Belvì, Aritzo, Arzana, Villagrande Strisaili. Gavino Gabriel, con felice intuizione, disse che Desulo, nei suoi tre rioni, col suo costume di tre colori, rappresentava la Barbagia una e trina: «Asuai giallo, per la Barbagia di Seulo; Ovolaccio azzurro, per la Barbagia di Belvì; Issirìa rosso, per la Barbagia di Ollolai». Un tempo i tre rioni erano diversi come costume, come usanze e persino come dialetto: anche le zone di influenza dei tre “vicinati” erano differenti: i boschi e i monti calcarei di Girgini e Lagassé (zone di Asuai), legati morfologicamente all'Ogliastra e alla Barbagia di Seulo; lo scisto di Su Accu Mannu (Ovolaccio), simile come conformazione geologica alla Barbagia di Belvì e al Mandrolisai; il granito di Punta Lamarmora, Aratu e Bruncuspina, che accomunava Issirìa (rione che controllava quel territorio) alla Barbagia di Ollolai.
Il territorio I monti del paese sono ricchissimi di sorgenti, alcune delle quali sono state definite «batteriologicamente le più pure in tutta la Sardegna» (dal laboratorio di analisi della provincia di Nuoro), specialmente Sa Funtana ’e Is Sidas, Curadore, Perdu Abes, S'Ardajulai. Situate nei punti più elevati dell'isola (Sa Ninna ’e Alagara 1730 metri, Funtaneddas de Tonara 1750, Sa Funtana ’e Sa Castagna 1770, S'Arcu Ennargentu 1800, S'Ispina 1810), esse danno origine ai maggiori fiumi sardi. Il Flumendosa viene alimentato da Bau ’e Jaca, Orué, Cercini, Istiddà, fiumi che confluiscono, poi, in Su Fruscu, prima di gettarsi nel Flumendosa. Il Tirso nasce da Latalè (alimentato dalla fontana di Iscraniga) e Ircialè (che sorge dalle fontane di Alase, Nuragé e Perdu Abes). Da un'altra parte, invece, il fiume di Lagassé confluisce nuovamente nel Tirso come il Mattalè (originato dalle fontane di S'Arena, Todoja, Sa Cerinasè, Is Sidas), che viene poi chiamato Taloro, altro importante affluente del grande fiume sardo. L'altezza media del territorio desulese è attorno ai 1200 metri: i terreni più in basso sono al confine con Belvì (S'Iscra), ma si trovano tutti ad un'altitudine pari alla media del territorio comunale. Oltre al territorio appartenente al comune, si annoverano altri “salti” acquistati in epoca più o meno recente da quasi tutti i paesi limitrofi, soprattutto da Aritzo (Montecresia, più di duemila ettari), Tonara (Sa Tanca ’Esulesa, oltre mille ettari) e Belvì. I confini con l'Ogliastra, definiti solo sulla carta, sono tuttora imprecisati; a definirli, in realtà, è l'accordo tra i pastori che si trovano a sfruttare, con le loro greggi, i terreni da pascolo collocati a cavallo tra le due regioni.
Le origini Desulo fu abitato sin da epoca antichissima, come viene testimoniato da numerose vestigia preistoriche: un'autentica “cittadella” (comprendente domus de janas, grotte anticamente abitate, resti di mura) si conserva a S'Iscra, ai confini con Belvì e Tonara: in questa zona (più precisamente a Montecorte) è stato ritrovato un orcio ancora intatto, di epoca prenuragica (appartenente forse alla cultura di San Michele), conservato al Museo archeologico di Nuoro. L'agglomerato archeologico più importante è, comunque, a Girgini, sviluppato in un'area molto vasta comprendente la necropoli di Sa Tanchitta (una tomba di giganti e numerose altre sepolture ipogeiche ad singulos); ritrovamenti bronzei e resti di mura (che sembrano testimoniare una sorta di presidio nuragico) a Sa Tanca Manna e a Genna ’e Ragas. Sempre a Girgini (e più precisamente, ora, in Su Au ’e s'Ena) esisteva un bel nuraghe ora distrutto da mano vandalica: ma se ne conservano ancora le tracce. Il nuraghe più bello è, comunque, quello di Ura ’e Sole, a quasi 1600 metri d'altezza (forse il nuraghe più elevato della Sardegna). Le costruzioni dei pastori, disseminate nel territorio comunale, testimoniano del resto una continuità culturale col periodo nuragico che ha subìto grosse fratture. Eccezionali le architetture degli ovili, con le pinnettas ammantate di perras de laccu (querce spaccate in due) e le aurras (recinti per maiali), ricoperte sempre con la stessa tecnica, fatte in modo che, una volta chiuse, non si comprenda quale sia l'entrata e quale la parete. Le porte delle pinnettas sono talmente strette che può entrarvi solo un uomo magro che vi passi di traverso: questa tecnica aveva uno scopo prettamente difensivo. Sulle querce si vedono ancora i cardalettos, soppalchi di tronchi d'albero costruiti in modo che un uomo possa dormirvi sopra: oggi vengono usati, in prevalenza, per custodirvi il mangime o le attrezzature dell'ovile. A Sa Tanchitta, in tempi remoti, un vaccile (ancora utilizzato) è stato ricavato su un recinto funerario nuragico. Gli ovili, con la loro originale tecnica di costruzione, sono unici nel loro genere; i più belli a Cambos Trottos, Meriagos, Su Calavrige, Su Proccu ’e Sirba, Sa Tanca Manna, Alagracca, Todoja, S'Arena. Resti di un piccolo paese d'epoca, forse medioevale, si trovano ancora a Sant'Istèvene, dove sorgeva la chiesa (integra fino al secolo scorso) di Santo Stefano.